Stavamo ancorati presso una pass all’ interno dell’ atollo di Makemo
nell’arcipelago delle Tuamotu.
Si doveva trascorrere lì una notte e uscire poi all’ alba con la
corrente a favore.
Il fondo era di sabbia, sugli otto metri, ma punteggiato qua e la da
pinnacoli di corallo che si innalzavano verso la luce come colonne di una
chiesa e alti fino a cinque metri.
Sicche’ la catena, in seguito ai movimenti del catamarano spinto da
vento e correnti, si era aggrovigliata a tal punto tra i pinnacoli che all’alba
per spedare l’ancora avrei dovuto tribolare parecchio.
Decisi cosi’ di districarla e raccoglierla sul fondo in una zona di
sabbia libera.
Tra un’immersione e l’altra in apnea fu una fatica non da poco.
Poi fu la volta dell’ancora. Questa pero’ si era incuneata profondamente
sotto un cespo corallino e non c’era verso di alarla dall’alto della barca.
Di nuovo dovetti scendere a otto metri per disincagliarla a mano.
Senonche’ gli strattoni e i raschiamenti sul corallo attirarono l’attenzione di
due pattugliatori della barriera corallina.
Erano due squali grigi, lunghi quanto me e mi venivano incontro come due
gendarmi con fare dinoccolato e vagamente incuriosito.
Si dice che incontrando uno squalo nel suo elemento invece di agitarsi e
scappare conviene andargli addosso emettendo bolle d’aria.
Cosi’ feci . Infatti i due squali, chiaramente sconcertati, si girarono
e lentamente si allontanarono. Lentamente, con fare indifferente, quasi
fischiettando con le mani in tasca, se regge questo paragone. In fondo erano loro i signori e padroni
dell’atollo, loro erano i predatori dai quali tutti dovevano guardarsi !
Tornai su a respirare. Poi giu di
nuovo a disincagliare un altro po di ancora. E rieccoli di nuovo che venivano verso di me. Io ancora verso di loro emettendo bolle d’
aria. Su a respirare.
Giu ancora per la terza volta, cric croc, strappando le marre
dell’ancora da sotto il corallo e ancora i due pescicani ! Ma questa volta molto nervosi, rapide virate
a scatti, le schiene inarcate, l’occhio giallo assassino.
Pericolo ! Piano piano risalii lungo la catena tenendoli d’occhio mentre
mi giravano attorno e appena in superficie, hop, schizzai a bordo con un guizzo
da ranocchio !
Da sopra recuperai l’ancora ormai disincagliata e la lasciai appoggiata
sulla sabbia. Naturalmente un ancoraggio
del genere con la catena tutta ammucchiata là sotto non dava il minimo
affidamento ma avevo in serbo l’opzione B . Lì nei pressi un grosso e alto
pinnacolo presentava una feritoia sulla sommità, come la cruna di un ago. Qui
feci passare una grossa cima legata ad anello e a questo con altra cima
ormeggiai la barca.
Tres bien.
E’ stato poco prima dell’alba. Mi
svegliai di soprassalto. C’ era vento e
il catamarano ballava parecchio ma sopra tutto sentivo le onde sulla barriera
troppo vicine ! Schizzai fuori : eravamo a pochi metri dal reef !
La catena era tesa ma l’ancora stava arando. Subito recuperai la cima attestata all’anello
sul pinnacolo. Recupera, recupera, mi veniva a bordo troppo leggera ed ecco che
mi ritrovo a bordo anche l’anello !
Che diavolo era successo ? Che il buco nel corallo era solo una
scanalatura ostruita da morbide spugne e madrepore varie da dove l’anello era
uscito facilmente.
Ormai le onde rombavano sul reef e la schiuma sommergeva a tratti le
poppe. Concitatamente abbassai in acqua
il fuoribordo. Partì al terzo strappo,
come a Colui piacque !
Uscimmo dalla pass a motore, in favore di corrente verso l’oceano
sconfinato.
Era l’anno 2005. Il primo Giro col Samadhi.
Io e Lia.