domenica 20 dicembre 2020

ANTEFATTI

 

 Com’è che si diventa barcaroli e velisti?

O ci si nasce, perché dell’ambiente, o per varie concomitanze nella vita.

Nel mio caso credo che questa sana passione risalga ai miei primi anni di vita.
Ero un bimbetto con i riccioli biondi e la banana, avrò avuto quattro o cinque primavere, e in estate venivo spedito a passare un periodo dalla mia nonna paterna, giù nel veronese.
Stavo in un paesello dove la casa dava su una piazza ma dietro si apriva subito la campagna.
Da qui si dipartiva un viottolo che finiva su un canale di acque morte che si diceva comunicasse con l’Adige.
Legata ad un paletto infisso nel fango galleggiava una vecchia barca dal fondo piatto. Faceva acqua, era malmessa e tarlata ma pure stava a galla e quando finalmente presi il coraggio di salirvi sopra, il fatto di dondolare così sull’elemento liquido mentre lo scafo prendeva direzioni diverse, mi parve un’esperienza straordinaria!
Ancora più straordinario era il fatto che alle volte spariva per giorni, per ricomparire poi come l’Olandese Volante quando meno me lo aspettavo. Segno che addirittura navigava! Dove? Con chi?
Quando lo chiedevo alla nonna, mi faceva un nome ma era come dire nessuno e il mistero rimaneva.
 
Un’altra esperienza simile la ebbi pochi anni dopo. Erano anni dove i bambini venivano spediti nelle colonie estive. Me le son fatte tutte dalla Pontificia Opera Assistenza, alla Croce Rossa e Montecatini. Alle volte tornavo dal mare e subito mi rispedivano in montagna.
Allora le colonie non erano i villaggi turistici di adesso, erano dei reclusori, dei riformatori, neanche fossimo delinquenti!
Sempre allineati in fila per due, sveglia presto, farsi il letto, alza bandiera, passeggiata lungo le spiagge incrociando file di altre colonie  -  di che Colonia siete? – della fame e della sete! – e finalmente la colazione.
In spiaggia poi divisi per squadre i maschietti di qua le bambine di là. Il bagno in mare tra due fischietti di pochi minuti, neanche il tempo di provare due bracciate. Ogni pomeriggio due ore di pisolino con le tapparelle abbassate mentre fuori splendeva un sole smagliante.
Proprio a me che a casa i pomeriggi li passavo tra le cascate e le vasche del Rio Sinigo con tutti i ragazzini del paese e dove siamo diventati rocciatori, tuffatori, nuotatori e subacquei!


Ecco perché, per non dover subire l’ignobile tortura del pisolo, in tre organizzammo un’evasione.
Zitti zitti, strisciando col passo del leopardo sotto le brande della camerata, sgattaiolammo fuori nel sole, scavalcammo il muro di cinta e via di corsa!
Girovagando così nella periferia di Cesenatico capitammo davanti ad un laghetto, una pozza d’acqua dove giaceva sulla riva una vecchia barca semisfondata.  La spingemmo dentro e prendemmo il largo giocando per ore ai pirati su quello che immaginavamo fosse il mare sconfinato. Dimentichi di tutto il resto, finalmente liberi come i gabbiani nell’aria!
Quando tornammo in carc…ehm, in colonia fui preso a schiaffi dalla mia assistente, tutta rossa in faccia e con le lacrime agli occhi. Non accampai scuse ma mantenni fermamente il mio concetto di “uomo libero”.
(insomma, poi sotto naja mi dicevo, che bello qui, abbiamo anche la libera uscita!)
 
Passarono alcuni anni. Tra i libri di scuola ne avevo uno che presentava a pagina doppia l’immagine di un veliero dove era riportata la nomenclatura delle varie attrezzature. Coffa, bompresso, vela di gabbia, bigotte, griselle e via enumerando. Un nuovo mondo mi si apriva davanti. Ne feci subito un modellino in legno, con le vele di carta.
Tuttavia questo nuovo mondo mi riusciva per tanti versi incomprensibile.
Le vedevo le barche a vela, al mare e nei laghi, ma mi parevano sempre ferme aspettando chissà cosa, mentre i motoscafi sfrecciavano veloci in ogni dove lasciando dietro una lunga scia di schiuma. Altri mezzi poi erano piu veloci, automobili, treni, aerei.
La Vela? Mezzo antico e anacronistico.
Ma, come si dice, chi disprezza comprerà!
 
Andò così: in una grigia serata d'inverno stavo con tre amici davanti a una birra alla Forst di Merano e già pensavamo all'estate.
- Allora dove si va in giugno?-
- A Ponza. Bella isola. C'è gnocca-
- E come, in traghetto? Costa! - eravamo squattrinati.
- Allora a remi. Remiamo a turno-
- Si? Sono settanta chilometri dal Circeo. Ti ci vedi? -
- A vela. Il vento è gratis-
- E se soffia contro? -
- Le barche a vela possono avanzare anche controvento - Lorenzo la sapeva lunga.
A me questo fatto pareva incomprensibile. Qualsiasi cosa galleggi sull'acqua se ne va necessariamente nella direzione del vento.
 Com'è che una barca a vela che mezz’ora fa stava laggiù, ora con questo vento che soffia in quella direzione me la trovo qui davanti??
Mistero.
Il giorno seguente mi comperai un manualetto di vela e, meravigliato, svelai l'arcano.
Nel corso dell'inverno lo imparai praticamente a memoria. Sapevo tutto. 
In primavera, durante una breve vacanza nella Jugoslavia di Tito a Plava Laguna, noleggiai con l’amico Pippo il nostro primo Flyng Junior e partimmo decisi, vento in poppa. Dieci minuti dopo eravamo rovesciati in mezzo al mare!


 Una cosa è la teoria e un'altra è la pratica.
Comunque da quel giorno ne facemmo parecchia. Ogni pomeriggio due ore di vela, doverosamente finalizzate a un giro tra le bettole della costa.
 Un bicchiere a Fontana, uno al bar del campeggio e un altro tornati in porto.
 Sicchè continuo a considerare la vela, piccola o grande che sia, come mezzo per recarmi nei posti che desidero.
( E' vero che poi mi sono fatto anche diverse stagioni di regate, per affinare la tecnica, ma queste competizioni da fighetti non sono nelle mie corde. Con l'ultima che ho vinto sul Garda, ho chiuso.)
 
A questo punto avrei voluto un Flyng Junior tutto mio da caricare sull’auto e spaziare tra laghi e mari. Ma pesava 150 kg, un bel problema caricarlo sul portapacchi. Dividerlo in due parti?...
Ed ecco l’uovo di Colombo!
 Un catamarano. Due scafi leggeri, due traverse e l’albero in mezzo. Timoni, derive e il resto nel bagagliaio. Ne trovai uno al lago di Garda.  Autocostruito in vetroresina da un tedesco di Germania.  Timoni e derive in legno e albero in lega lungo otto metri.
Subito mi lanciai con mio fratello in una crociera di quattro giorni sul lago. Si dormiva in tenda ormeggiati alle canne sulle rive o sulle spiagge di ciottoli. Isolamento ideale: sul telone a mezzo metro da terra, nel catino della tenda, sui materassini gonfiabili e dentro i sacchi a pelo.
Seguirono altre crociere su altri laghi del nord Italia e attorno all'Italia stessa che ha ottomila chilometri di coste e varie isole. A volte in solitario e altre con amici, Salì a bordo anche una ragazza che trovava questa formula del campeggio nautico molto interessante, tanto che in breve tempo ci infilammo le fedi al dito e ancora oggi è la mia gentile consorte.



Al catamarano misi nome"Hoeanà" che in polinesiano significa, Rema! Per via delle piatte mediterranee

Alla nascita del secondo figlio dovetti venderlo. Nelle foto degli album dell’epoca si voltano pagine e pagine dove Hoeanà la fa da padrone. 
Poi seguono pagine e pagine dove Claudio spinge passeggini.
Piu oltre ecco ricomparire i catamarani.
 Questa volta, anno dopo anno, per una settimana di noleggio un po dovunque, in Sardegna, in Grecia, in Turchia e perfino alle Antille.
Ma una settimana all’anno è troppo poco.

 In tre amigos acquistammo la Lady. Un monoscafo di 7,5 m, modello Atlas, costruito a Dusseldorf. Faceva base ad una boa nella baia di Medulin in fondo all’Istria e ci costava cinquantamila lire al mese diviso tre. Una miseria.
Con la Lady furono crociere infuocate giù per la Dalmazia e in alto Adriatico. Nel mio fanatismo velico la portavo tra le isolette della baia anche in inverno, almeno ogni venti giorni.
I due soci invece la usavano molto raramente, finchè, dopo tre anni, decisero di venderla.
Fu una vendita curiosa. Talmente curiosa che vale la pena raccontare.

Un tale dell’Isola di Lipari-Eolie, visto l’annuncio mi chiama:
- Ho visto la foto della barca. Mi piace. Dove sta? –
- Nella baia di Medulin in Istria –
- No, dove sta lei ora? –
- A Merano –
- Ah bene vengo a Merano –
- Si ma sono sette ore di viaggio da Merano a Medulin… –
Aveva già riattaccato.
Giorni dopo mentre ero in giro con l’auto della ditta mi richiama:
-  Sono Luciano. Ci eravamo sentiti per la barca. Sono alla stazione di Merano –
-  Oh cavolo! Fermo li. Passo tra un pò –
Vado alla stazione. Il signor Luciano è un pescatore in pensione, sulla sessantina, capelli neri e una pancia da buongustaio. Ha lasciato il peschereccio a uno dei suoi sette figli e con la Lady vorrebbe fare il turista come ne vede tanti che girovagano in barca a vela tra le isole Eolie .
Lo porto a casa mia insieme al mio socio Walter e spiano una cartina sul tavolo:
- Vedi, qui c’è Merano, tra le montagne. Medulin sta quaggiù in Croazia –
-  Si ma prima volevo parlare con voi –
E il mattino seguente se ne torna a Lipari
Una settimana dopo, altra chiamata:
- Vengo su a vedere la barca-
- Alt! Fermati a Mestre. Ci troviamo alla stazione e proseguiamo in macchina –
A Mestre scende dal treno con una grossa valigia in mano e si guarda attorno. Sta a tre linee di binari da noi. Gli facciamo segno agitando le braccia, ci riconosce e si butta deciso giu dal marciapiede saltellando sui binari tra i fischi agitati e imperiosi dei controllori. Lo carichiamo subito in auto e via!
Arrivati a Medulin con una breve remata raggiungiamo la barca alla boa.
Lui sale, si guarda attorno con noncuranza mentre sbocconcella un panino – Va bene – dice semplicemente.
Quindi estrae dal valigione un pacchetto di banconote e seduta stante ci paga, una sull’altra, il pattuito!
Ce li conta lì davanti e io e Walter rimaniamo a bocca aperta, esterefatti!
Quella sera grande festa al ristorante Tri Ferala di Pomer!  Grande mangiata e ancor piu grande bevuta.
Il signor Luciano, carburato pure lui, si ingolfa in animate discussioni con i pescatori locali. Lui parla siciliano stretto e loro croato ma inspiegabilmente pare si capiscano benissimo!
Verso le 22 lancio una proposta:
- Sentite, il meteo per questa notte da vento da sud forza 2-3. Si potrebbe partire a vela e raggiungere Umago domani mattina e fare le carte di uscita .-
- Ma sei ubriaco!? - 
Walter cerca in tutti i modi di dissuadermi ma anche Luciano si dichiara d’accordissimo. Dai che si va!
Ci facciamo così in due una notte di turni al timone, imbacuccati sotto una coperta, con un fresco venticello che spinge da dietro, lungo le coste dell’Istria che conosco a memoria.
All’alba siamo a Umag. Fatta l’uscita dalla Croazia proseguiamo per Caorle che raggiungiamo nel pomeriggio. Doppia pizza e a nanna.
Il mattino seguente prendiamo gli ultimi accordi:
- Ti accompagno fino a Venezia poi devo tornare a Merano. Vedi di procurarti carte nautiche della costa italiana e qualcosa per i bollettini meteo –
- Non c’è problema per me. Sto in mare da una vita e per il meteo mi basta guardare il cielo -
Sarà.. Ma intanto lo guardo perplesso.
- Invece vorrei passare da Pellestrina - aggiunge – Quando ero militare quarant’anni fa a Taranto, avevo un amico di Pellestrina che mi parlava bene della sua isola. Ecco, vorrei vederla. -
Ok. Rotta per Pellestrina.
Qui giunti, ormai scendo in banchina e chiedo a un tale che passa in bicicletta dove parte il traghetto per San Marco. Mentre costui mi informa in merito sento Luciano che dalla barca grida – Giovanni! Giovanni! –
Il tale della bici si gira…ed è proprio lui! L’amico militare di Taranto quarant’anni dopo!
Questa volta rimaniamo estrerefatti a bocca aperta tutti e tre!
 Quando si dice, i casi della vita. E’ proprio vero che la realtà a volte supera qualsiasi fantasia.
 Allora fermi tutti. Altra festa. Bisogna celebrare E via coi bicchieri!
 Domani è un altro giorno.

   P.S.  Luciano si portò la Lady a Lipari con calma, nel corso di un mese.
 Ci ritrovammo due anni dopo quando passai da quelle isole con il Samadhi.

domenica 21 giugno 2020

GINEVRA


Ginevra è il nome del nuovo monoscafo Janneau 42 di Gian. Lo dobbiamo trasferire da Napoli Mergellina a Monfalcone.

5-6-2020 Venerdi.
Il treno arriva a Napoli con 25 minuti di ritardo e perdo l’ultima metropolitana per Mergellina.
Per un po aspetto un autobus fuori dalla stazione. Ma l’ambiente è preoccupante. Pare di essere finito in un souq afroislamico dove tristi figure si aggirano a gruppetti nel buio impegnate in strani traffici e non si vede un napoletano che sia uno!
Decido per un taxi.
In piazza San Nazzaro mi aspetta Gian. Salutoni attraverso la mascherina, gomitate e mi accompagna in barca. Siamo in quattro. Io, Gian e la sua gentile consorte con un’amica e socia. Marghe e Franci, autonominatesi “LE GIASONE” parafrasando la mitica impresa degli Argonauti alla conquista del Vello D’Oro.

Sabato. Ore 8. Con calma. Colazione al bar, in piedi, tutti mascherati.
Alle 9 si parte. La barca è ok, mancano solo le cimette per le bandierine.  Motore randa e fiocco. Vento scarso e sole caldo. Arriviamo ad Acciaroli nel tardo pomeriggio. Paesino molto caratteristico, c’ero stato con il Samadhi nel 2001. Ormeggiamo in banchina con le trappe. Cena fuori, passeggiata e a nanna.

Domenica. Aspettiamo l’apertura del distributore, quindi acqua, gasolio e via. Altra giornata di medie ariette e sole ancora piu caldo. Per non annoiarci troppo sotto autopilota, Franci provvede a farsi volare dalla testa il cappellino per ben due volte impegnandoci cosi in due manovre di salvamento cappellino a mare!  Infine attracchiamo al pontile di transito di Cetraro in Calabria.  Ed ecco che si presenta un tale a proporre il suo ristorante. Il Gambero Rosso. C’ero gia stato nel 2001 e in quel ristorante eravamo stati brutalmente salassati. Non a caso. Il Gambero Rosso è l’osteria dove Pinocchio ci rimise uno dei cinque zecchini d’oro, ricevuti da Mangiafuoco, per il pasto luculliano offerto al Gatto e alla Volpe dai quali fu poi impiccato!  Comunque qui Franci rimedia un po di aglio e altre cose per gli spaghetti allo scoglio utilizzando il Take Away della serata di Acciaroli. L’arte del riciclo.

Lunedi. Pioggia nella notte. Sciogliamo gli ormeggi in un’ alba grigia e piovviginosa. Cerata completa e ci portiamo al largo per decidere una rotta tre Vibo Valenza e Stromboli. La bilancia pende un pochino verso Stromboli. E fu bene. I cieli si spalancano e il sole torna feroce. Riusciamo a fare vela per un buon tratto. In vista del vulcano si nota uno sbuffo di fumaccio nero che fuoriesce dalla sommità. Si sa. Il vulcano è sempre attivo. Ma ecco formarsi alla base dell’isola preoccupanti nuvole bianche che si allargano sempre piu! Eruzione in corso?!  Fiumi di lava che scendono dalle pendici alzando banchi di vapore a contatto con l’acqua del mare?  Pronti a girare la barca prima che l’eruzione diventi Pompeiana!  Ad ogni buon conto cerchiamo notizie Ansa sul web, Gian telefona a Stromboli per delucidazioni in merito, ma nell’isola è tutto tranquillo. Le nuvole? Solo vapore che sale dalla costa bagnata dalle piogge della notte. Nessuna catastrofe, a parte il metaforico cerino che ci si spegne in mano.  Bene.  Via telefono Gian prenota una boa a un tale Alessandro che volentieri la va a posizionare proprio per noi, primi clienti della stagione, dopo mesi di strette di cinghia a causa dei blocchi del Coronavirus. Ma, arrivati alla boa, questa è occupata da un peschereccio. Per un po rimaniamo ormeggiati insieme, poi i pescatori gentilmente ce la lasciano e passano alla banchina traghetti.
Sole caldo. Bagnetti. Tutti in acqua.
 Sono li sulla tuga che mi sto asciugando quando passa un gommone con un omone barbuto e cappelluto che sembra un vichingo. Francesco ..?
-Francesco !- gli grido. Due volte. Mi guarda perplesso, gira il gommone e viene sottobordo.
-Salve. Francesco Rinauro?-
-No sono Stefano, ma sto lavorando per Francesco-
-Allora è sull’isola. Hai il numero?-
-Si, te lo passo-  ma lo chiama dal suo e me lo passa in diretta.
-Ciao Francesco sono Claudio, quel tale che nel 1999 era venuto a vedere il tuo catamarano Manutara e mi ci avevi fatto dormire per una notte. Ai tempi del tuo bimbetto BumBum che giocava con le chiavi inglesi tutto nudo sulla spiaggia nera mentre pulivamo i winches in un secchio di gasolio.  Però poi avevo acquistato il Samadhi e passando due anni dopo alle Eolie ci eravamo trovati casualmente a Panarea mentre aspettavi il traghetto per Stromboli. Beh, ti eri fatto le 10 miglia con noi timonando capelli al vento per tutta la tratta-
-Ah si, mi ricordo-
-Bueno. Poi scendiamo e forse ci si trova in paese-
Gentilissimamente lo stesso Stefano, che stava andando a Ginostra con un carico di mattoni, ci accompagna in banchina. E’ proprio un vichingo ( c’è stata l’invasione dei Normanni secoli fa in Sicilia) e Stefano è originario dell’isola da generazioni. Di età indefinibile, è già nonno, ma si fa le salite al cratere come un giovanotto di vent’anni.
Ai miei tempi si girava per gli stretti vicoli di Ficogrande, capoluogo dell’isola, su Api Piaggio. Ne rimane ancora qualcuna ma ora si gira con automobiline elettriche , quelle dei campi da golf per intenderci. Con una di queste veniamo portati a casa di Francesco.  Ed eccoci ritrovati dopo 18 anni, io invecchiato lui sempre uguale. BumBum ormai è un giovanotto ma un altro ne è nato nel frattempo. Salutoni strette di mano alla faccia del virus, quattro chiacchere e l’augurio di ritrovarci tra altri 18 anni. Anche prima magari.
Dalla chiesa del paese il panorama è superbo. Gruppi di casette bianche scendono circondate dal verde verso la costa e sul mare si staglia imponente lo scoglio di Strombolicchio illuminato dal sole del tramonto. Nel paese quasi tutte le attività sono chiuse e praticamente siamo gli unici turisti capitati qui per caso. Facciamo rifornimento ad un alimentari, i limoni sono gratis, e un drink al bar del porto. Calma di vento. Silenzio. Notte di luna piena.

Martedi.  In rotta verso lo stretto di Messina. Persistono le vaghe ariette. Nello stretto che passiamo con corrente a favore, incrociano due Spadare, barche per la pesca del pesce spada, con due omini su un alto traliccio a scrutare il mare e un altro su una lunga passerella tesa a prua pronto a fiocinare lo spada.  Arriva il vento. Dritto da poppa a 16 nodi. Gian organizza un tangone per il genoa e lo prendiamo con vele a farfalla. 8-9 nodi sul GPS fino a Capo Spartivento.  Infatti dopo il Capo il vento viene spartito e ce lo ritroviamo in prua come da situazione classica secondo la Treccani dei velisti che enuncia:  “Il vento è quell’ agente atmosferico che soffia sempre dalle parti della prua”. Motore e randa al centro.  Si prosegue non stop verso il profondo sud del tacco. Santa Maria di Leuca.

Mercoledi. Notte scombussolata con onda e vento sostenuto. Pure la Luna si nasconde dietro una scura nuvolaglia. Turni di guardia e manovre sulle vele. Poi torna il sole per gran parte della giornata e ci gratifica con la formazione di due grandi arcobaleni. Un folto gruppo di giovani delfini ci accompagna per un buon tratto. Gian contatta la capitaneria di S.M.di Leuca e seguono scambi di mail e telefonate. Vogliono la lista dell’equipaggio con nomi e cognomi e data di nascita. Perché? Per sapere chi sono gli untori, in caso di recrudescenza contagi in zona e scolpirne poi i nomi sulla Colonna Infame di Manzoniana memoria.  Invece entrati in porto a far gasolio, tutto tranquillo. Anzi, niente Marina, il benzinaio ci concede la banchina per la notte. Celebriamo a cena fuori. Da Fedele, al porto pescatori.

Giovedi.  Si comincia a risalire l’Adriatico. Conviene portarsi sulla costa Croata. Vela e motore mantenendo una velocità costante tra una sventolata e una calma. Cielo variabile ma verso la costa italiana si addensano piovaschi. Al tramonto, subito dopo che il sole sparisce all’orizzonte Gian nota una strana luce gialla tra mare e cielo, molto luminosa…- Alieni- dice. Piu avanti, nel turno di guardia con Marghe, prima del buio compare nella stessa posizione una nuvoletta nera, molto compatta, assolutamente diversa dalle striature sospese in orizzontale e piuttosto sfilacciate.  Partono le piu strane congetture: esplosione a bordo di una nave che non si vede nemmeno col binocolo? Un sommergibile in parziale emersione? Nascita di un nuovo vulcano? Un Fungo atomico !?  Marghe, per non preoccuparsi troppo mette in pratica il suo sistema. Glissare l’evento. Semplicemente non esiste. Gli volta le spalle. Illusione ottica. Ed effettivamente poco dopo il fumaccio nero scompare! Si è offeso e se ne è andato.  Notte tranquilla a turni di vedetta ragionando sui Massimi Sistemi.  
Nel primo mattino, eccoci a Dubrovnik. Spiagge deserte. Alberghi chiusi e in disarmo. Nessuno in giro. Sembra l’alba del The Day After quando in un mondo deserto una voce via radio seguitava a chiedere disperatamente.. - c’è nessuno in ascolto? -  Sbrigate le pratiche di ingresso Croazia, puntiamo il paesino di Sudurad. Un paesino carinissimo, una specie di Portofino in sedicesimo con tanto di castello sul porto e le casette in pietra calcarea tutto attorno. Partiti per una rapida esplorazione con Gian, incontriamo un’anziana signora che cammina faticosamente curva in avanti e di fianco, trascinando un trolley e due borse. Le diamo una mano. Con noi parla spagnolo. E’ vissuta 40 anni a Lima in Perù dove è scappata dopo la guerra perchè, dice, non le piaceva il regime comunista di Tito Broz. Ora è tornata e vive in una casetta sulla collina. Sarebbe una fonte vivente di preziose informazioni. Dovremmo tornare come giornalisti per una dettagliata intervista. Ma data l’età dobbiamo far presto. Ehm…detto da me poi che ho gia 94 anni..   Nel pomeriggio arriva un traghetto Jadrolinia e un barcotto con un gruppetto di isolani e turisti che si fermano per un drink nell’unico bar del porto. Timida ripresa della vita nel dopovirus.

Sabato.  Si dice che quando si instaura il NW questo puo soffiare per tre giorni o una settimana. Però rischiara il cielo. Intanto lo abbiamo sempre sul naso e dato che questo è un trasferimento e non una crociera, tantomeno una regata, il motore fa la parte del leone. Nel canale di Curzola ci soffia contro a raffiche di 20 nodi. Una gioia per il vespaio di windsurf e kitesurf che ci sfrecciano davanti! Si puo notare tra i vari modelli l’evoluzione di questa specialità. Dai windsurf prima maniera, tavola e vela, ai kitesurf, tavoletta e vela- paracadute su in alto nel vento, fino alle tavolette con idrofoil che sollevano il tutto sopra la superfice del mare e l’omino sta letteralmente volando!
 A fine giornata dopo aver macinato 78 miglia, troviamo fortunosamente posto in banchina nella cittadina di Hvar. Non c’ero mai stato. Rien a dir. Hvar è la Montecarlo della Dalmazia. In stile tipicamente veneziano, nel caldo colore del calcare locale, si snoda attorno alla baia sormontata dai bastioni di un’imponente fortezza sulla collina. Diversi locali aperti. Già un discreto movimento turistico. Nessuno con la mascherina.

Domenica.  Veleggiata domenicale verso Prvic. Bolina tesa a 6-7 nodi tra isolette , scogli e pericoli isolati. Ginevra in questa prima prova seria controvento si dimostra niente male. Fila che è un piacere!



 Le rogne invece , come al solito, capitano a terra: andando all’ormeggio in banchina, una trappa finisce nell’elica, si spegne il motore e tutto l’equipaggio è impegnato a lavorare di muscoli! Però Marghe è contenta. Da giorni aspettava il momento di un bagnetto e subito scende sott’acqua a liberare l’elica. Molto bene. Segue un pomeriggio di tintarelle e pisolini inframmezzati dall’arrivo di altre barche da charter che iniziano la settimana. Naturalmente diamo una mano agli ormeggi e rimediamo un paio di birre in lattina. Grazie. Quest’isola ha due paesini uno piu carino dell’altro. Ce li visitiamo entrambi anche se pioviggina. Poi finisce a brodetto di polipi e vino bianco.

Lunedì.  Giornata senza storia. Navigazione di routine a motore su un mare piatto e grigio sotto una coperta di nuvole. Gian lo skipper consegna all’equipaggio perchè si informi, un libro divulgativo sulle intuizioni di Albert Einstein riguardo allo spazio-tempo, la Gravitazione e la Relatività Generale. Un libro da leggere con seria concentrazione, in silenzio come in chiesa.. Pochi minuti e l’equipaggio con il libro aperto davanti scoppia in una collettiva irrefrenabile risata, neanche fosse un libro comico! Lo Skipper è sconcertato.. Troppo ostico per noi umani.  
 Approdiamo a Silba. In banchina all’inglese davanti all’ingresso del porticciolo. Solo altre due barche di turisti. Passeggiatona tra i vicoli labirintici del paese. Perdo l’orientamento ed è così che càpito davanti ad un curiosa torretta costruita da un tale Petar per la sua amata, della quale poi sposò la figlia. Domenika Rosul. Strani amori.

Martedi.  Da Silba a Isola Rossa. Il Quarnaro attraversato come sul velluto, senza onda, di bolina larga. Timoniere, Le Giasone! Dopo Capo Premantura il cielo va in crisi tra neri nuvoloni, parziali schiarite e il vento che non sa che direzione prendere. Becchiamo pure qualche goccia. All’Isola Rossa ci aspetta il biondo custode che ci piazza in banchina, unica barca in un porticciolo che ho sempre visto strapieno. Sembra di essere tornati agli anni ’50. C’ero anch’io e le barche erano di legno. Il grande albergo in completo disarmo. Comandano i gabbiani.

Mercoledi.  Rapida puntata a Rovigno per le carte di uscita dalla Croazia. Ultimo pieno gasolio, sigarette e alla via verso Monfalcone. A due miglia da Monfalcone ci potrebbe scappare un’ultimo bagnetto, ma lassù qualcuno ci ascolta e dispettoso, addensa un nero nuvolone fantozziano proprio sopra Monfalcone con minaccia di tromba d’aria! Rien a faire. Proseguiamo fino all’ormeggio e il nuvolone si dissolve. Fine.
 Cenone celebrativo con il Claudio di Franci qui giunto a recuperare la troupe.

Bene. Dodici giorni. Magici. Ci ripenso e tutto mi pare un sogno. E come nei sogni, i ricordi se pur ancora vividi mi trasportano in una dimensione senza spazio e senza tempo. Come in un eterno presente!
Ciao.

lunedì 13 gennaio 2020

MALATO CRONICO


Quando l' hai percorso in lungo e in largo per anni, il Mare ti entra nel sangue e non te ne liberi più.
Venduto l'Andromeda mi sento nudo, dimezzato. Hai voglia di navigare con quella degli amici, la barca ideale niente impicci niente imbrogli, ma non è la stessa cosa. Bisogna trovare la barca propria !
Non sarà facile. 
Venti anni fa per cercare il primo catamarano percorsi l'Italia per giorni in un viaggio memorabile che misi nero su bianco.
Ve lo faccio leggere.

CERCANDO IL SAMADHI

MERANO. Mercoledi 8 novembre del 2000
Chi ti trovo alla stazione alle 6.00 di mattina presto ? Bruno che fuma davanti ad un caffè e Paolo diretto alla fiera di Bolzano. Visti e persi.
Verso mezzogiorno sbarco a Ferrara. Gianni mi aspetta con la sua R4 e mi invita nella sua casa-museo risalente al 1500 dove ci vediamo il filmato della Lady nella nostra navigazione lungo l'Istria.
Altro treno.
Verso sera visiono due catamarani a Marina di Ravenna in un porto deserto alla luce dei lampioni. Pioviggina. Mi riparo all'albergo Oasis dove chiudo la serata davanti ad una birra insieme al proprietario di uno dei due cat.

Giovedì
Seconda visita ai cat alla luce dell'alba. Pallida alba adriatica, con un sole enormemente dilatato, appena rosato, tisico, che si affaccia sulla linea dell'orizzonte tra brume e foschie pervicaci.
Autobus per Ravenna.
Il mausoleo di Teodorico. Opera notevole! In grossi blocchi di calcare dell'Istria, sobriamente scalpellati in fregi e modanature e posati a comporre la struttura a pianta circolare dell'edificio.
 Ma il pezzo forte rimane la copertura a cupola. Pezzo forte in tutti i sensi in quanto è stata ricavata da un unico blocco, portata non si sa come dall'altra sponda dell'Adriatico e posata sopra il tutto con tecniche che si possono solamente immaginare. La cupola presenta delle linee di frattura, pare a causa di una violenta scarica atmosferica. Si dice che Teodorico avesse un sacro terrore dei fulmini quindi, ne avrà pur schivati tanti da vivo, ma il più fetente se l'è beccato da morto!
Al piano superiore del Mausoleo, al centro della sala circolare, troneggia un grosso sarcofago di porfido rosso lucidato, a forma di vasca da bagno. Nessuno all'interno.
Fuori, grande parco con vialetti, erbetta all'inglese, sole caldo sulla pelata. Se scavalchi il recinto non paghi il biglietto.
Terzo catamarano visionato a Cesenatico. Di nome Peter Pan, un modello che sembra autocostruito e piuttosto adoperato.
Piove.
Rimini sotto il diluvio.
Un Mac Donald è piazzato strategicamente di fronte alla stazione dei treni. Buono per aspettare l'autobus delle 17 per S. Marino.
Pochi avventori ma di diverse razze ed età.
S. Marino. Un'apoteosi di pietra lavorata in modo sublime. Ricorda la Rocca Grimaldi del Principato di Monaco. Dai 700 metri delle torri sul Monte Titano, sotto una smagliante luna piena, si apre una suggestiva visione della pianura sottostante punteggiata di luci fino alla linea della costa.

Venerdì.
Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini, a S. Marino e a Rimini godono di ottima considerazione. Busti e lapidi commemorative dovunque. Di Garibaldi si sa di una fuga rocambolesca attraverso le campagne della Romagna tallonato dai papalini e della successiva morte di Anita.
In una piazza centrale di Rimini si nota un cippo di marmo che ricorda il famoso passaggio del Rubicone da parte di Caio Giulio Cesare con l' esercito, di ritorno dalla Gallia. "Alea Jacta est", il dado è tratto. Dixit. Fu così che il Divo Cesare divenne di fatto il dittatore buono d'Italia. Attirandosi pero qualche inimicizia. Finì pugnalato sotto la statua di Pompeo suo caro amico-nemico.
Quattordici secoli dopo un tale Pandolfo Sigismondo Malatesta, affetto da una ancora più spiccata sindrome di cesarismo, si fa costruire un Tempio, il Duomo di Rimini, che pur essendo un esempio notevole di arte e architettura romanica pecca in modo esagerato di simboli che richiamano allo sponsor.
E l'Arco di Augusto ? Sponsor di ben altra levatura, anche ad Ariminum compare un suo Arco di bianco calcare istriano. Del resto proprio a Pola oltre alla famosa Arena non manca il Tempio di Cesare Ottaviano Augusto il quale, erigendo monumenti a sua memoria in ogni dove nell'impero, poteva a buon conto dichiarare che "tutto il mondo è paese". Pax romana. Però: si vis pacem para bellum. Per cui: sic transit gloria mundi. Basta !
Nel 2000 necessitano sei ore di treno per recarsi da Rimini a Trani, provincia di Bari.
Come scendo dal treno mi trovo faccia a faccia con Caterina, detta Sciosci, che è venuta a prendermi in auto.
 Che amore ! Bacini e baciotti, ma alla fine mi porta a dormire dai frati. Barnabiti, per la precisione. Antico convento sul porto, cella tipo monaco emancipato, con scrittoio intarsiato e luce elettrica, fornitissima biblioteca. Prezzi stracciati, da rifugio alpino.
La bellezza della città di Trani sta nella calda tonalità rosata del calcare su cui poggia e di cui è costruita. In diversi stili: dal Romanico al Barocco, dall'Arabo al Rinascimentale. Peruviano, persino: si vedono alcune pareti di palazzi con pietre stondate a cuscinetto fino a pareggiare le fughe come a Tiahuanaco. La Cattedrale, per quanto spiccatamente romanica, ricorda il primo gotico di Chartres, tanto è arricchita del tipico bestiario medievale.
Domani il Castello Svevo di Manfredi. Figlio di Federico secondo. Buona notte.

Sabato.
A Trani esiste una sezione della Lega Navale Italiana. Se sei socio iscritto può essere che ti facciano posto in banchina tra quelli riservati al transito. Buono a sapersi.
In mattinata compaiono Sciosci e Gianluca, cortesi ciceroni che mi illustrano i maggiori monumenti della città.
Si scopre così che la Cattedrale è costruita su due precedenti chiese protoromaniche, complete di cripta segreta del 300 d.c. scavata nella roccia sotto il livello del mare.
Il Castello Svevo sta lì a sottolineare quanto i tedeschi, gli Hohenstaufen in questo caso, siano sempre stati delle teste quadre: un inno all'angolo retto. Pianta quadrata. Torri cubiche.
Avanti marsch! Per fila dest! Per fila sinist! Unica concessione, a parte i necessari archi di sostegno, alcune grosse aperture circolari simili a oblò di una grande nave di pietra. Una struttura insomma che si è prestata ottimamente fino a qualche decennio fa ad ospitare detenuti.
Nel pomeriggio il viaggio prosegue per Ostuni, bianca cittadina arrocata su una collina della penisola salentina.
In attesa dell'autobus per il mare tento l'autostop, senza tanta convinzione, e vengo caricato da un vecchietto. Guarda caso.
Al mare ho un appuntamento per visionare un Mattia 39, modello di catamarano visto tanti anni fa al Salone di Genova. E quello che mi ritrovo davanti è proprio lui, una volta così ammirato e ora tutto triste e solo, malandato, abbandonato ad una boa e battente, per imperscrutabili ragioni, bandiera americana. Nessuno lo vuole.
Più a sud, a Lecce mi incontro con Domenico, neo costruttore di multiscafi. Mi porta in auto a Ruffano, da amici suoi, un albergo-pizzeria vociante di bimbi scatenati riuniti in bande.
 Una festa in corso ? No. Ogni sabato è consuetudine che qui si riuniscano le famiglie del posto per il rito della mangiata collettiva. Con tutto il seguito della tribù appresso. Del resto il suditalia continua a produrre figli anche per il nord, ma nonostante ciò, statisticamente parlando, siamo a natalità zero.

Domenica.
Con calma. Dopo le 10,30 si rivede Domenico e si prosegue per l'estremo sud del tacco: S. Maria di Leuca.
Sorpresa ! Bel posticino. Casettine bianche immerse nel verde degli ulivi, mare blu, luce, caldo, maniche di camicia. Altro catamarano da visionare e poi calamaretti e bianco locale.
E via a Gallipoli.
Ci troviamo con Paolo, un militare di Taranto, aquirente negli anni di diversi multiscafi.
 Tra gli altri ha avuto il coraggio di acquistare anche il famoso catamarano dell'omicidio. Quello dove due balordi avevano ammazzato la skipper a colpi d'accetta, buttandola poi a mare e proseguendo le ferie in Adriatico come se niente fosse. Li hanno beccati poi a Messina.
Paolo l'ha tenuto un anno poi l'ha rivenduto ad un tale Francesco delle Eolie.
Da Taranto mi faccio una notte in treno con un pugliese che accompagna il figlio a fare il militare a Palermo.
Ai miei tempi ci ero andato da solo. Da Merano. 36 ore di tradotta.

Lunedì.
Sul traghetto dello stretto di Messina vendono ancora gli arancini. Una sorta di canederli di riso ripieni di ragù. Antichi sapori quasi dimenticati.
E rieccoti l'Etna. Appena in marzo di quest'anno l'abbiamo percorso in lungo e in largo con pelli e sci per cinque giorni.
In 3 del CAI e 6 dell'Alpenverein.
A Catania, altro cat, un Maldives 32, vecchia conoscenza gia noleggiato in diverse occasioni.
Milazzo.Aliscafo per Lipari.
A Lipari non faccio tempo a scendere che vengo quasi aggredito da un lungo cappottone con dentro un tipo secco e allampanato: "Camera, camera! Vuole camera?" Fortunatamente compare subito il signor Luciano che blocca "Sigaretta", così lo chiamano, e mi porta a casa sua.
Il signor Luciano è il nuovo proprietario della Lady, la nostra ex barchetta di 7,5 metri, compagna per tre anni di indimenticabili avventure. Vista e presa da Luciano, pescatore in pensione. Un mese per portarla dall'Istria alle Eolie. Piano, piano. Da solo.
La sera stessa le facciamo una visitina di cortesia. Se ne sta in secca su un nuovo invaso con ruote in attesa della prossima stagione. Bisogna dire che è proprio finita in buone mani.

Martedì.
E' come se il signor Luciano mi avesse aspettato: ci sarebbe da salire in testa d'albero per passare la cimetta dell'amantiglio e servirebbe uno agile che vada su arrampicando senza bansigo.
Poi però mi accompagna in auto in giro per l'isola, al museo archeologico, si premura di mille gentilezze, finchè ci lasciamo e mi imbarco per Stromboli.
Ma che ci vado a fare a Stromboli? Già ho rischiato la pelle nel '92 passando una notte sù al cratere tra boati, tremori, lapilli scagliati verso il cielo e sbuffi di gas che mi costringevano a lunghe apnee, accucciato dietro a muretti di lava.
I casi della vita si concatenano a volte in modo curioso:
Emiliano, inquilino meranese del piano di sotto, un giorno mi fa:
" Sai, questa estate ci siamo fatti le Eolie sul catamarano di un mio amico, l'ing. Francesco Rinauro di Stromboli." E mi passa il numero di telefono.
Da quel giorno con l'ing. Rinauro sono seguiti diversi contatti anche per il fatto che il cat compariva continuamente tra gli annunci di vendita su Bolina.
Per comperare bisogna vedere e provare.
Ed eccomi qua. Con Francesco sul suo scooter 50, in due senza casco, per le stradine del vulcano, andiamo a trovare il Manutara, nome del cat.
E' stato tirato in secca sulla spiaggia di sabbia nera, l'albero smontato e appoggiato di fianco. Lavori in corso.
Barca di grandi soddisfazioni, dice Francesco, non tanto veloce ma sicura; mi sono fatto l'Atlantico andata e ritorno; l'ho comperata da un certo Paolo, militare di Taranto....
- C'è l'accetta a bordo ? -
- Si. C'è l'accetta.-
- Ha!Ha!Ha!-
E mi offre per la notte la cuccetta del navigatore.
Beh, mai ho dormito così tranquillamente su una barca. Perfettamente ormeggiata, immobile. Nessuna preoccupazione di salti di vento, tenuta dell'ancora, previsione ridossi di emergenza. E il fantasma della skipper ammazzata?
Non s'é visto. Era giovane e carina.
La solita sfiga. Già una volta una tipa mi ha sparato: " Con te ? Non ci vengo neanche morta !"

Mercoledì.
Questa isoletta è un vulcano. Sempre attivo. Brontola in continuazione e schizza in aria materiali incandescenti che poi rotolano sulla "sciara del fuoco" fino al mare. Per la meraviglia dei turisti che quì vengono accompagnati di notte dai barcaioli del posto.
Ogni anno il vulcano produce tre o quattro tremendi boati che scuotono le case alle fondamenta. La gente sta sempre sul piede di partenza, pronta a sfollare, come nel film di Rossellini degli anni '50.
Se nel '92 ne ho misurato l'altezza, nel 2000 è logico misurarne la circonferenza. Poi con il pi greco si potranno ricavare tutte le altre misure.
Con una telefonata al suo amico Pasquale, Francesco mi trova un kajak. Maglietta, berretto e salvagente. Una bottiglia di acqua, pane e tonno in scatola.
Sole caldo. Il mare un olio.
Ciaf, ciaf... le pagaie seguono il ritmo impresso loro dal pilota automatico del computer di bordo che tengo sotto la pelata.
Sfilano sulla dritta le ultime case dell'abitato di Stromboli, alcune rampe di vecchi terrazzamenti, la banchina dei traghetti, la centrale di energia che sputa dai camini un fumaccio nero di nafta combusta, peggio del vulcano stesso. In teoria si potrebbe sfruttare l'energia geotermica per far girare le turbine con vapore ad alta pressione. Questo prevede un impianto di captazione degli strati caldi all'interno della montagna, dai costi non indifferenti e di esito incerto dato lo stato estremamente ballerino del suolo.
A Ginostra, l'unico altro abitato dell'isola, si è provveduto con piccoli gruppi elettrogeni o con pacchi di batterie al piombo alimentate da pannelli solari. Ginostra è costituito da un gruppo di casette bianche sparse a caso sulle pendici nere del vulcano ed è raggiungibile solo via mare. Esiste altrimenti un sentierino peruviano, a rischio, che sale fin quasi al cratere per scendere poi dalla parte opposta verso Stromboli City. Quindi gli aliscafi e i traghetti che devono fare scalo a Ginostra, si fermano al largo e aspettano che spunti, da un moletto inserito in un anfratto di blocchi lavici, il barchino per il trasbordo di cose e persone. Come a Tristan da Cuna, nell'Atlantico del sud.
Con il kajak non ci sono problemi. Sbarcato,seguo una mulattiera che sale a stretti tornanti, arrancando su uno strato di cacche equine rinsecchite. Mi ricorda la salita di Santorino nell'Egeo.
 ( ma pensa, la cacca che si autoattiva come motore di ricerca tra diversi ricordi ed esperienze)
Ginostra è un paese pieno di vita: dopo l'ultimo tornante incontro un cane giallo sdraiato in mezzo alla via a prendersi il sole di novembre. Lo scavalco e poco dopo mi imbatto in un mulo legato ad un fico. Fra i vicoli delle casupole disturbo alcuni gatti assorti nella loro siesta. Quà e là un frullare di ali di strani passerotti. Lontano, rumori metallici: due isolani in canottiera spingono una carriola.
In punta di piedi percorro il paesino tenendomi nelle zone in ombra per non rovinarne la magia con la mia ingombrante presenza.
Da un uscio aperto si vede un signore sdraiato di fianco su un letto, la testa sul braccio.
 "Buongiorno" dico. Mi guarda senza batter ciglio, ma è come se non mi vedesse.
Più oltre vengo sorpreso dal saluto di una donna mimetizzata tra i rami di un ulivo. Inutile fare l'indiano. Anche quello che scava nell'orto mi aveva già notato da un pezzo.
Diversi fichi d'india sono maturi al punto giusto. Occhio alle spine.
Ciaf, ciaf. Calma di vento. Seguo la costa un po discosto per non beccarmi pietre in testa tanto la nera montagna appare instabile e friabile. Oltre a quelle che potrebbe scagliare in qualsiasi momento dall'occhio sommitale. Un gigante con un solo occhio "di bragia" che scaglia macigni sulle triremi sottostanti ? Polifemo!
Tuttavia c'è stato un tempo in cui si progettava di scendere sulle ceneri della sciara del fuoco con un paio di vecchi sci. Perchè no ? Tra tanti impicci e imbrogli, l'ultima libertà che rimane è quella di potersi scegliere il proprio suicidio.
In vista di Strombolicchio, grosso scoglio con faro, mi concedo un bagnetto e un pisolo sulla sabbia calda mentre il sole tramonta.

Giovedì
Appuntamento con Francesco al cantiere Manutara. Ci sono da smontare i winches, la base albero, far girare il motore in acqua dolce, stendere le vele al sole e togliere i garrocci ossidati.
Bum-Bum, il suo bimbo di 20 mesi zampetta attorno tutto nudo giocando pure lui con pinze e chiavi inglesi.
Nel primo pomeriggio m'imbarco sul traghetto per Napoli. Viene da Milazzo e prima della traversata deve fare scalo sulle altre isole: Panarea, Salina, Vulcano e Lipari
Nell'ora di sosta a Lipari scendiamo tutti per seguire la processione annuale del patrono delle Eolie: S.Bartolomeo.
Coperto di oro e di argento, in grandezza naturale, con espressione intensa guarda la folla dall'alto del baldacchino portato da sei uomini. Sulla sinistra tiene un coltello e sulla destra i lembi della propria pelle, simbolo del suo martirio.
S. Bartolomeo era uno dei 12 apostoli, andato a predicare in diverse località dell'Asia Minore. Anche lui risultò essere elemento di disturbo per i potentati locali, per cui fu scorticato, decapitato e gettato in mare.
Tre secoli dopo un uomo scarnificato venne ripescato a Lipari.
Si gridò al miracolo e l'arcipelago trovò il suo protettore.
Un sito meteo sul WEB prevede per la notte SW forza 6.
Difatti spinti dal libeccio si arriva a Napoli con buon anticipo.
Due ore di treno e scendo a Roma.
Piazza S. Pietro. Anno del Giubileo. La piazza è gremita di pellegrini, ordinati in lunghe file su percorsi obbligati, in continuo afflusso verso la Basilica. Gruppi di coordinatori regolano il traffico distribuendo a tutti volantini scritti in inglese e con ideogrammi giapponesi.
All'interno della Basilica ci si muove lentamente, a naso in su, assolutamente abbagliati da tanta magnificenza ! Tutto è enorme, imponente, splendido ! Nel corso dei secoli la Chiesa di Roma, caput mundi, non ha badato a spese. Non esiste al mondo un tempio dedicato al Divino che possa eguagliare tanta grandezza. Che non è data tanto dalla disponibilità di mezzi, quanto da quel superiore livello artistico che gli artigiani profondevano nelle loro opere animati e spronati dalla Fede.
Inutile descrivere. Bisogna andare e ammirare.
Treno.
Verso sera mi fermo a Carrara. L'idea sarebbe di proseguire poi verso il paese di Colonnata, famoso per quel menù fisso da 4500 calorie al giorno dei vecchi cavatori di marmo delle Apuane.
Il Lardo di Colonnata. Aromatizzato, pressato e lasciato stagionare per mesi in lucide conche marmoree, è diventato una specialità unica nel suo genere.
Non faccio dieci passi fuori dalla stazione che mi si para davanti una macelleria fornita a quanto pare della migliore qualità.
Poco dopo sono chiuso in una stanza d'albergo, coltello e tagliere, a gustare beatamente questa novità. Molto buono. E lascia che fuori piova.

Venerdì.
Perso il diretto per La Spezia. Mèrd !
Tre ore da passare al porto a guardare le barche degli altri.
Visione alquanto triste a causa delle violente mareggiate dei giorni scorsi, qui sù al nord.
 L'acqua è ancora torbida, dovunque si notano danni. Le spiagge poi sono diventate chilometriche discariche, ingombre di tronchi, plastiche, detriti. L'iradiddio.
A La Spezia mi incontro con Gavino, del Sardinia Cat Service.
E' l'ultimo della lunga serie, un Crowter 39, da corsa, 20-25 nodi, dice, albero girevole a profilo alare, senza tuga. Anche lui ha subito la mareggiata e risulta strattonato su un candeliere.
Ci beviamo sopra, per dimenticare, al bar del porto. Un paio di tartine, che asciugano. E l'antipastino di polipetti. Ci facciamo la grigliata ? E...Insomma ci alziamo che sono le quattro del pomeriggio.
Comprero' il Crowter 39 che di nome fa SAMADHI. Da antica filosofia indu': la Meditazione, la Concentrazione e infine il raggiungimento del Samadhi, stato di trance dove tu diventi l'oggetto pensato e lui diventa te.
 E poi, saro' un vecchietto ma se voglio correre un po nel vento su uno scafo di razza, questo e' l'ultimo momento utile !
Augh!