mercoledì 30 marzo 2022

L'ultimo post

Ho conosciuto Claudio nel 2009, al mio primo imbarco su Andromeda, e con piacere l'ho aiutato a creare questo blog. Negli anni  lo ha popolato con i ricordi di tante sue avventure, che qui continueranno a vivere anche ora che lui ci ha lasciato.

Buon vento, Claudio! Mi piace ricordarti così: IL CAPITANO.

Elena

domenica 9 gennaio 2022

HOEANA'

 

Però si muore un po di meno.
 Si, aumentano dappertutto i contagiati ma finora le mutazioni Delta e Omicron non paiono così letali come a inizio pandemia dove in Equador i morti da Covid venivano lasciati sulle strade, nei cassonetti o bruciati in piazza come gli appestati di Manzoniana memoria.
Ne sarà dispiaciuta Brigitte Bardot che vorrebbe riportare la popolazione mondiale a tre miliardi di persone come quando era una giovinetta.
Orbene, è inverno, siamo ancora semi confinati, non si naviga perche fa freddo e anche in estate la navigazione era condizionata dalle secche del virus.
Quindi questo blog continua sull'onda dei ricordi. Ricordi sempre piu antichi, la preistoria delle mie esperienze nautiche, roba di quando mi portavo in giro un catamarano di quattro metri sul tetto dell'auto. Sentite un po queste considerazioni naturalistiche e scanzonate di ambienti particolari…
 
Hoeanà
 
-Si parte dall'aeroporto Marco Polo di Mestre-
- In catamarano dall' aeroporto!?-
- Si. Guarda la cartina. C'è un canale che dalla laguna si spinge fin alle piste di rullaggio, quasi sotto le ali degli aerei. Il canale Tessera. Collegamento turisti con i taxi Riva-
Partenza sofferta. Dopo una notte passata a guidare ci concediamo due ore di sonno in attesa dell'alba, rattrappiti sui sedili della R4 , detta sgabuzzin, nella sarabanda delle zanzare che filtrano da tutti i buchi.
Montiamo il catamarano nell'unica spiaggetta del canale ingombra di detriti, cocci, vetri su una fanghiglia dove si affonda fino al ginocchio, tanto che al momento del varo bisogna allestire una passerella di tavole per spinger la barca in acque sufficientemente profonde. Bassa marea.
Walter va a parcheggiare l'auto in un posto sicuro. Devo quindi andare a prenderlo cinquecento metri piu in su alla banchina terminale. Ciò mi costa una furiosa pagaiata controvento in un'acqua maleodorante continuamente sconvolta dal passaggio dei motoscafi-taxi di Venezia che si avventano rombando senza ritegno.
Walter salta su. Una spinta, due colpi di pagaia, le vele si gonfiano ed ecco, in un lungo sospiro la barca prende abbrivio. Alla via.
Sospesi tra terra mare e cielo, nella luce irreale di un disco rosso appena uscito da un invisibile orizzonte, scivoliamo quasi trattenendo il fiato tra canneti appena mossi dalla brezza, filari di briccole che si specchiano nell'acqua immobile, isolette che appaiono e scompaiono nella foschia in un silenzio che sarebbe perfetto se non fosse squarciato, violentato ogni tanto dal frastuono dei Jet in partenza. Seguiamo la processione dei pali. In lontananza Murano e piu in la Venezia con i suoi campanili.
Sorpassiamo l’isoletta Tessera, piccolo mondo in miniatura costituito da alcune casette in pietra chiara racchiuse da un muro di cinta tappezzato di edera, che si apre con un arco su un minuscolo porticciolo ricavato in una insenatura naturale. Il tutto annegato nel verde.
Il sole comincia a picchiare. Aggiriamo Murano. Case e case a pelo d’acqua, canaletti che entrano ed escono, viavai di chiatte e motoscafi.
San Michele, isola. Il traffico dei battelli comincia a farsi sostenuto. Siamo di bolina e per non dover virare usciamo dai pali cercando di proseguire sullo stesso bordo ma dopo pochi metri ci troviamo a raspare il fondo.
Proseguiamo allora con derive e timoni sollevati; niente, verso la Certosa dobbiamo scendere e spingere la barca sprofondando nella melma ad ogni passo.
Canale di San Nicolò. Puntiamo finalmente verso l’uscita e il mare aperto che gia si vede oltre il faro di fondo. E’ quasi mezzogiorno, il vento è calato e il sole picchia sodo.
Tenendoci un po discosti dal grosso del traffico, ce ne stiamo distesi all’ombra della randa in assoluto relax piluccando ogni tanto qualcosa. Lentamente, metro dopo metro, la barca avanza.
Doppiamo così il faro e ci troviamo in mare di fronte alle spiagge del Lido brulicanti e vocianti come possono esserlo in una domenica di fine luglio come questa.
-Che facciamo?-
-Beh, intanto il bagnetto. Con questo caldo non si resiste neanche all’ombra della vela, siamo quasi fermi e finalmente qui l’acqua è pulita e salata-
Così tra un tuffo e un pisolino ( dobbiamo recuperare una notte di sonno) dolcemente cullati dalle onde e con le chiappe che arrostiscono al sole, passa la giornata.
Tramonto. Al mare i tramonti sono interminabili, poi il buio si ingoia subito tutto. Ci troviamo davanti all’uscita di Malamocco. Proseguire o fermarsi?
-Toh, guarda là quelle tende. Quelli sono abusivi, non puo essere un campeggio, sono troppo appiccicati al mare. Lì va bene anche per noi-
Puntiamo la spiaggia e sotto gli sguardi incuriositi dei bagnanti, aliamo in secca il catamarano di una decina di metri. La spiaggia: sabbia calda, gusci di vongole, dune e cespugli di cardi, ombrelloni, asciugamani, tettine al vento- benebene- ah, ecco là gli abusivi. Gruppi di ragazzi sono attendati qua e la tra le dune. Le tende sono piccoline, di quelle che si portano in spalla. Sono venuti a piedi. Gironzolando intorno troviamo un rubinetto di acqua dolce e una doccia. Molto bene.
Ammainate le vele montiamo la canadese secondo il veloce sistema di legatura sul boma e tesatura degli spioventi con sei elastici sui bordi degli scafi. Gonfiati i materassini cerchiamo di ingoiare qualcosa ma le palpebre si sono fatte troppo pesanti.
 
Quando apro gli occhi Walter è gia sveglio, sorpreso di aver dormito così bene.
Sulla spiaggia alcune persone passeggiano lungo la riva. Il mare si è molto ritirato da ieri sera ma la marea comincia gia a montare. Il vento? Non ce n’è. Solo una leggiera brezzolina che orienta la bandierina in testa d’albero nella giusta direzione. Sistemiamo così le nostre cose e riprendiamo il mare.
Doppiato Malamocco ci portiamo a costeggiare a pochi metri dalla riva che ci sfila di fianco come in un film al rallentatore. Costeggiamo una interminabile fila di macigni sistemati lungo un argine di cemento a difesa di questa striscia di terra che separa il mare dalla Laguna. Ogni tanto attracchiamo per dare un’occhiata dall’altra parte. Oltre il muraglione corre una stradina asfaltata. Nessuno a destra, nessuno a sinistra. Cespugli, erba, sterpaglie, qualche casa, campi di granoturco ma niente da mettere sotto i denti, che so, un pomodoro o una carota.
Verso mezzogiorno diamo fondo davanti a Pellestrina sperando di trovare un negozio di alimentari e di trovarlo aperto. Tutto bene. Torniamo in barca carichi di viveri e beveraggi e fino a Chioggia è tutto un lavorìo di gengive e mascelle.
Si va. Sole a picco, mare calmo. Sulla costa campeggiano gli alberghi alveare di Sottomarina dietro i quali spiccano in stile Serenissima le guglie, i campanili e le cupole di Chioggia. Che contrasto!
Alla foce del Brenta l’acqua cambia colore e si fa piu fredda mentre veniamo spinti al largo dalla corrente. Il vento comincia a rinforzare, ci è quasi contro, ma in un lungo bordo siamo in breve alla foce dell’Adige.
Qui il paesaggio cambia decisamente aspetto. Canne e gabbiani. Canne dappertutto, sulle rive, sulle isolette, su ogni lingua di sabbia affiorante e sulla spiaggia del mare fin dove le onde lo permettono. E gabbiani stipati sulla battigia, sulle gettate di scogli frangiflutti, su tronchi e rami galleggianti. Quelli che non trovano posto a terra se ne stanno a volteggiare in aria in attesa di un parcheggio. Perché questo raduno qui sulla foce? Qualcosa di buono da mangiare? Pesciolini e gamberetti o rifiuti e immondizie scesi con la corrente?
Prendiamo terra a piedi nudi e la sabbia è così rovente che dobbiamo saltare veloci da un punto d’ombra all’ altro. E’ incedibile la quantità di immondizia che si è raccolta in giro! Il fiume la porta al mare e il mare la ammucchia sulla terra a testimonianza dell’offesa che l’uomo ha fatto alla Natura.
Ci rimettiamo in acqua e imboccato l’Adige proviamo a risalirlo contro corrente.
-Sembra di essere a Caldaro- osserva Walter.
Infatti in mezzo a questi canneti e sull’acqua appena increspata nonostante il vento teso, è come veleggiare su un laghetto di casa nostra. Tornati alla foce, veniamo accolti da alti frangenti che nel frattempo il vento teso ha formato al largo. Questi scontrandosi con la corrente uscente producono un ribollìo micidiale che ci lava dalla testa ai piedi su una barca che salta e scalpita facendo schizzare qua e la i bagagli sul telone.
-Ehi, qui è meglio che ci buttiamo su quella spiaggia laggiù, ci facciamo una mezzoretta di sabbiature poi vedremo se sarà il caso di ripartire bene imbottiti-
Così, mentre desistiamo vigliaccamente dalla lotta, davanti a Rosolina e Rosapineta il mare si riempie di windsurf, derive e catamarani tutti in gara tra loro, con le onde e con il destino.
Per un po riusciamo a far finta di niente girovagando su e giu per la spiaggia con l’aria di chi cerca qualcosa, ma in breve non resistiamo oltre e , balzati sul catamarano nostro, ci ributtiamo nella mischia.
Un bordo verso il largo, un bordo verso terra. Un bordo verso il largo, un bordo verso terra. Si procede così stoicamente per tutto il pomeriggio arrivando in vista di Albarella verso il tramonto.
Da quel che ho letto ultimamente, Albarella sarebbe un’isola del delta padano rilevata e convertita con capitale svizzero in centro turistico di lusso. E’ un’isola privata. Ciò nonostante noi, da bravi Fratelli della Costa, tenteremo di pernottarvi e usufruire dei suoi servizi.
Approdiamo così quatti quatti sulla punta nord della stessa e tiriamo in secca la barca in un angolino di una spiaggia incredibile: perfettamente ripulita e pettinata in lunghi solchi paralleli nel modo che usano i giapponesi per i loro mistici giardini. Non una carta, una lattina, un coperchietto di birra, anzi, i pochi gusci di vongole che affiorano qua e là, sembrano essere stati sistemati apposta per dare un tocco piu esotico all’ambiente.
Montata la tenda, mentre sta calando la sera, partiamo in esplorazione. Seguendo un sentierino fra i cespugli al limite della sabbia, sorpassiamo a destra un grande albergo stile “fattoria bassa padana” e alcune graziose villette sparse nel verde. Sulla sinistra abbiamo i servizi di spiaggia - Ah, le docce! -  Piu avanti su alcune rastrelliere sono allineate una ventina di tavole a vela uso scuola. Inoltre canoe, derive, catamarani, gommoni. Il paradiso degli sport acquatici. Piu avanti ancora ci par di sentire una musichetta in lontananza e, come nella storia di Pinocchio, proseguiamo in quella direzione. Cammina cammina, arriviamo infine dove il sentiero termina davanti a un muro. Da vecchio sestogradista mi arrampico allora per minimi appigli e…
-Una discoteca!-
Una discoteca all’aperto. E anche al chiuso. Piu bar, ristorante, piscine, trampolini, fiori, musica, ragazze che si agitano sulle piste, tintinnìo di bicchieri.
-Entriamo da quella parte!- Salto giu e facendo un largo giro del muro di cinta ci ritroviamo a calpestare una specie di tappeto verde che si perde uniforme davanti a noi per un centinaio di meri seguendo le naturali ondulazioni del terreno.
-E’ un campo da golf!-
-Ma com’è sintetico?- Non capisco. Infilo un dito nella “moquette” e ne estraggo un ciuffo di erba vera, con tanto di radici nella terra e con steli perfettamente formati, non piu alti di un centimetro e mezzo. Se non avessi gia sentito parlare di questa erbetta nana, frutto di incroci, stenterei a credere ai miei occhi miopi .
Davanti all’ingresso dobbiamo farci largo in mezzo a una selva di biciclette tipo “Graziaella” ammonticchiate le une sulle altre in ogni dove, tutte uguali, rosse e cromate con la dicitura Albarella sulla canna e un numero di serie. Dato che i numeri sorpassano il 2000 è chiaro che su questa isola ci si sposta prevalentemente pedalando. Che bello! 
Mentre gironzoliamo scalzi e arruffati in mezzo a questa gioventù profumata e all’ultima moda, mi spunta un’idea:
-Senti, stanotte non si dorme. Arraffiamo un paio di bici e ce ne andiamo in giro a visitare l’isola. I vialetti sono tutti illuminati e poi avremo la luna piena. Che ne dici?-
-Che forse il sole di domani lo vedremo a scacchi attraverso le inferriate di una finestrella!-
Waler non mi sembra molto d’accordo
-E poi ho sonno e preferirei dormire- conclude
Incespicando nel buio torniamo alla tenda. Ma ormai ho deciso. Mi infilo addosso qualcosa di decente e gli auguro al buonanotte.
Tornato alla discoteca ritrovo subito la bici che gia avevo adocchiato, rimasta ad aspettarmi sul suo cavalletto in un angolino buio e mi lancio scampanellando, turista tra i turisti, tra i viali di Albarella. E’ un vero piacere pedalare cosi di sera sotto i lampioni con l’aria tiepida che ti accarezza la pelle, la camicia aperta e svolazzante.
Imbocco un vialetto dietro l’altro, a caso. Sulle stradine asfaltate il transito è consentito anche alle automobili che pero non possono superare i trenta chilometri orari, non tanto per i segnali di divieto quanto per i dossi innalzati ogni duecento metri. Ecco l’acquedotto, una torre cilindrica con il contenitore, enorme, piazzato in cima. Si puo anche salire con l’ascensore e mi dicono che di giorno si gode di un’ottima veduta. Ecco il supermarket, ormai chiuso, i campi da golf, da tennis, tiro con l’arco, equitazione, non manca niente, toh! Anche il cinema. Scendo un attimo. C’è un film in cartoni animati, spettatori due.
Proseguo verso il porto alla punta sud dell’isola e quando vi arrivo un quarto d’ora dopo, la strada è chiusa da una sbarra, azionata dal sorvegliante di turno li vicino. Piu oltre si vede un lungo ponte, unico accesso stradale e le luci di Porto Levante sullo sfondo.
Bene. Non andiamo in cerca di rogne. Volta la bici e su per la costa ovest. Subito mi trovo ad attraversare nugoli di zanzare che mi si infilano tra i capelli, sotto gli occhiali, dappertutto, attirate dalle luci della strada. Però non pungono, sono maschi. Seguo il litorale per un po fino ad una località che si chiama Ca Tiepolo, poi ne ho abbastanza e mi infilo di nuovo sotto gli alberi su strade piu interne. Un cartello dice, FIORDI . Verso nord ovest. In giro non c’è piu nessuno, forse sono l’unico ciclista che a quest’ora continua a pedalare. E allora? Niente, Ho fatto trenta, facciamo trentuno e andiamo a vedere questi fiordi. Mi abbottono la camicia perche l’aria si è fatta fresca. Passa un’auto e mi supera. Sulla fiancata c’è scritto in grande VIGILANZA. Piu avanti me la rivedo che torna indietro, rallenta – Oddio! – e prosegue. Mah.
Ed eccomi ai fiordi. Un villaggio di discrete dimensioni con le case costruite a schiera, affacciate su una serie di canali secondo gli ultimi e piu moderni canoni di architettura turistico-balneare. Posto barca da un lato, posto macchina dall’altro. Bello. C’è anche un bar ancora aperto e quattro persone attorno a un tavolo che si godono il fresco.
E’ ora di tornare. Spingendomi sempre piu a nord, o verso quello che tenendo conto delle varie direzioni prese, presumo sia il nord, arrivo infine in prossimità dell’albergo stile fattoria che avevamo notato al nostro arrivo. Qui lascio al bici in una rastrelliera insieme a tante altre e mi dirigo a piedi verso la spiaggia.
C’è bassa marea. Tra le barche e i motoscafi in secca, uno coricato su un fianco perde benzina. Inquinamento! Vado e lo raddrizzo puntellandolo con un travetto-
Walter che dorme con un occhio solo, subito mi fa una serie di domande. Ma ormai non connetto e giratomi dall’altra parte sbadiglio:
-Domani ti racconto. Gute Nacht-
 
Quando il sole riesce a districarsi dalle brume dell’orizzonte e i primi raggi vengono irradiati tutto attorno, l’interno della tenda diventa in pochi minuti una serra soffocante per cui, seppur magri e secchi come cactus, dobbiamo zompare fuori alla svelta boccheggiando in cerca di un po di aria fresca.
La spiaggia è ancora deserta. In lontananza si muove un trattore che trascina un  enorme rastrello sulla sabbia per la toilette del mattino.
-Che ore saranno?- si chiede Walter. Siamo senza orologi.
- Mia nonna diceva, anzi dice perche è ancora viva “sonno e appetito insegnan l’ore a menadito”- e addento un pezzo di formaggio. Il mio socio succhia la sua tettina di latte quotidiano. Siamo a corto di pane.
-Facciamo così- propongo- io vado a fare la spesa, tu metti in acqua il catamarano e ci troviamo sulla spiaggia davanti alla discoteca. Il primo che arriva aspetta l’altro- ok.
All’albergo riprendo la mia bici e in qualche minuto raggiungo il supermarket. Fatto il pieno, pedalo fino alla discoteca, saluto il velocipede e sotto gli occhi sconcertati dei primi bagnanti gia stesi sugli sdrai, mi inoltro nel mare camminando nell’acqua che mi arriva sempre al ginocchio con scarpe e pantaloncini in una mano e il sacchetto della spesa nell’altra.
Walter accosta, mi sfiora e oplà! Terza giornata.
Scendiamo masticando fino alla punta sud dell’isola, entriamo nel porto, scrocco una cicca e, consultata la cartina decidiamo di proseguire lungo lagune interne per uscire poi in mare qualche miglio piu in là.
Si puo dar colpa a una carta se la geografia del delta di un grande fiume cambia in continuazione e non si riconosce piu niente da un anno all’altro?
Pagaia e pagaia-non c’è un filo d’aria- piu andiamo avanti e piu è chiaro che delle uscite segnate verso il mare non ne troveremo neanche una. Ce ne da conferma un camionista che passa e ripassa con carichi di pietre a consolidare la lunga striscia di sabbia che ci separa dal mare. Non sappiamo che pesci pigliare poi Walter ha un’idea:
-E se portassimo il catamarano dall’altra parte trascinandolo a mano?-
-A mano? Una fatica bestia, ci vorrebbe piu di un’ora!-
-Si , e mezza giornata per rifare il giro a pagaiate magari con il vento contro-
Anche questo è vero. Allora ci organizziamo: allegeriamo la barca togliendo tutto quello che pesa di piu, borse derive, timoni, àncora, tanica dell’acqua. Rimangono montate randa e fiocco. Quindi, sistemati due parabordi sotto le prue alziamo da poppa e li facciamo rotolare oltre metà barca, quindi alzando da prua tiriamo finche non sgusciano fuori da dietro e ricominciamo daccapo. Spingi e tira. Ogni tanto bisogna ripulire dalle sterpaglie la sabbia davanti agli scafi. Spingi e tira. A metà percorso scattiamo un paio di foto. Ancora una serie di sforzi e la barca è in mare.
-Beh, in fondo non è stato neanche tanto difficile-
Il sole è perpendicolare sopra di noi e una leggera arietta contro ci costringe a bordeggiare.
Oltrepassiamo la spiaggia di Boccasette, piuttosto affollata di gente nonostante sia così lontana da centri abitati. Strano che scelgano questo posto dove tra gli scarichi del Po di Levante e il Po di Maistra, l’acqua non è proprio limpida. Io non mi fiderei troppo a fare il bagnetto. Sarà l’amore per la Natura allo stato primordiale.
Infatti l’aspetto selvaggio e sconvolto delle coste che ci sfilano davanti sono di un fascino particolare: scani e barene, lunghe striscie di sabbia portata dal fiume e raccolte dalle mareggiate in precario assestamento. Scheletri di alberi, di tronchi e radici bianche di salsedine sono conficcati un po dappertutto e sembrano enormi insetti che ci guardano immobili. Qua e là cominciano ad attecchire i primi radi cespuglietti dove subito trovano dimora cavallette e uccelli.
E’ proprio l’inizio del Mondo!
Su uno scano, sotto una specie di tenda si sono piazzati un tipo, una tipa e un cane. Nudi e bruciati dal sole se ne stanno nella posizione del loto in contemplazione dell’Infinito. Vado a trovarli sulla sabbia bollente. Non sono molto loquaci, comunque barattano molto volentieri due delle nostre pere in cambio di due sigarette.
Bordeggiamo. Dopo la Busa di Tramontana, una delle tante uscite del Po, ci infiliamo in un canale per raggiungere attraverso un laghetto interno il faro di Punta Maistra ma i bassi fondali e una forte corrente ci risospingono in mare. Bordo su bordo arriviamo infine alla “Busa di dritta del Po della Pila” - abbreviato, Po Grande- principale sbocco del fiume dove, prima di attraversare ci fermiamo a sgranchirci le gambe su un’isoletta appena nata in mezzo al mare.
Sollevando stormi di gabbiani che ci volteggiano vociando sulla testa, ci stiamo dirigendo verso una macchia di cespuglietti dove si notano strani movimenti quando…
-Attento! Le uova!- Mi blocco con il piede a mezz’aria; la sabbia tutto attorno è punteggiata da decine e decine di uova, alcune gia aperte, con il pulcino appena uscito che se ne sta tremolante e spelacchiato a bruciarsi sotto il sole rovente. Altri gia autonomi ci zampettano davanti spostandosi da un cespuglietto all’altro. Ogni tanto un cadaverino. Il miracolo della Vita che difficilmente trova il suo compimento.
Rirendiamo il mare. La corrente del Po ci spinge così al largo che senza altri bordi riusciamo a scapolare la punta piu esterna dello Scano Boa e con il vento ora al traverso si fila che è un piacere!
Al tramonto entriamo in una laguna, Sacca del Canarin, e prendiamo terra su una minuscola isoletta circolare con un Casone da pesca costruito al centro. Come pensavamo è disabitata e da diverso tempo. Ci sono due brande, zanzariere alle finestre, un fornello a gas e alcune cose su una mensola. All’esterno sotto una tettoia di canne, un tavolo in cemento e due panche. Piu in la-colpo gobbo- una fontana che sputa un’acqua gelida, non bevibile ma acqua quasi dolce, buona per una doccia e forse per cucinare Benebene.
Ci mettiamo a tavola e diamo fondo alle nostre riserve. Quindi facciamo una scappata in barca a tirar su una rete semiabbandonata per vedere se si è impigliato qualcosa. Sarà fame? Raccogliamo solo aghe.
E’ ormai sera quando mi metto a osservare incantato una mamma gabbiano mentre insegna a pescare ai suoi due piccoli, lungo la riva.
-Guardate bene e fate come me- dice con acute strida dalle piu diverse inflessioni.
-Vi alzate in volo controvento a tre paia d’ali sul pelo dell’acqua e avanzate lentamente. Appena avvistato lo sciame di pesciolini, dovete concentrarvi solo su uno dei piu esterni. Poi raccogliete di colpo le ali, così! E vi tuffate immergendo solo il becco e la testa perche qui l’acqua è bassa.  Rapidità e decisione. Ecco, così! Volate subito via. Lo sciame non deve rendersi conto di cosa è successo. Avanti, proviamo ancora-
I due piccoli si alzano in volo a loro volta e si vede che ci mettono tutto l’impegno per fare altrettanto, ma piu  pesanti e con le penne non ben sviluppate, sono un po goffi nei movimenti e non hanno ancora la grazia e la scioltezza della madre-
-Ah, mancato!-
-Tienti piu in alto, così sei troppo vicino all’acqua e ti vedono-
La mamma nuotando li segue, li guida, li consiglia, li riprende. Non sta mai zitta.
-Attenti! Vi faccio rivedere. Posatevi giu un momento-
E riparte sollecitando il loro spirito di emulazione-
Io guardo, completamente rapito! Capisco tutto! Tutto è talmente chiaro e lampante. Provo le stesse sensazioni…ah, se avessi un paio di ali!
Non mi staccherei piu da questo momento magico se non ci fossi costretto dalle le zanzare che si fanno sempre piu agguerrite.
Ci tappiamo nel Casone dove accendiamo spiralini e congegni vari.
Nel buio, mi pare di sentire ancora il vociare della famigliola. Se la mia bella fosse stata qui si sarebbe commossa fino alle lacrime.
 
Pum! Pum! Pum! Pum!
Niente da fare, ormai non c’è piu verso di dormire. I motori dei barconi da pesca che gia alle prime luci sono venuti a pattugliare la Laguna si avvicinano sempre piu. Gettano una grossa rete metallica a forma di sacco dall’apertura rettangolare, rigida; questa viene fatta trascinare sul fondo per una decina di metri e quindi issata sulla barca con un argano per rovesciarne il contenuto. Ostriche, mi pare.
Partiamo pagaiando nella luce livida dell’alba verso il fondo della laguna dove dovrebbe esserci un canale di sbocco sul mare. Chiediamo conferma ad un pescatore che sta sistemando una rete di passo, conficcando un paletto dopo l’altro immerso nell’acqua fino alle ascelle. Brutto lavoro.
Il canale esiste ma è talmente stretto e insabbiato che dobbiamo percorrerlo a piedi tirandoci dietro la barca con una cima.
Come ogni mattina fino ad una certa ora, di vento non sene parla. Diamo piglio alle pagaie. Non per niente la barca si chiama Hoeanà che in polinesiano vuol dire rema!
Seduti ognuno su uno scafo, appoggiati con la schiena alle derive tuffiamo e rituffiamo le pale nell’acqua lungo le spiagge dette “del Bastimento” anche queste caratterizzate dal consueto apocalittico paesaggio di legnami accatastati alla rinfusa e saldati tra di loro da grumi di alghe, plastiche e catrame.
Finalmente compaiono le prime increspature. Si va.
-Gia, ma fino a quando cosi a stomaco vuoto?-
Prendiamo terra in località “Barricata”. Una lunga fila di tettoie e chioschi si allineano in fondo alla spiaggia, innalzando bandierine colorate e esibendo cartelli e lavagne che dicono, maccheroni, polenta e sardelle, fritture calamari, orate fratres, lambrusco. Mi si annebbiano le lenti. Attraversando con le narici dilatate banchi di nebbie profumate che si innalzano dai bracieri, andiamo ad accomodarci tra quattro pareti di canne di quello che sarà in futuro il Grand Hotel di Barricata City.
Ma pensa un po, basta che arrivi una strada dall’altra parte del canale, un ponte di barche e la gente comincia a sparpagliarsi sulla spiaggia a prendere la tintarella. Subito càpita il venditore di cocacola, quello dei gelati e quello delle angurie. Da qui ai panini e alle pizzette riscaldate il passo è breve. La gente si sente sempre piu a proprio agio, affluisce in maggior numero, bisogna allora allestire tettoie di canne, costruire baracche, munirsi di frigoriferi e cucine. Ogni nuova iniziativa si becca una fetta di pubblico piu grossa.
-Guarda qua. Abbiamo anche il juke -box-
Atmosfera da Far West in versione balneare
Alla fine di un lauto pasto sono pieno come un uovo e in leggero stato di euforia. Arrivo persino a comprarmi un pacchetto di sigarette, cosa che non succedeva da anni!
Spaparanzati sul telone del catamarano, cicca in bocca, lasciamo che un allegro venticello al traverso ci snebbi il cervello e ci spinga a suo piacere verso sud-ovest.
Po di Tolle, Scano del palo, Po di Gnocca, Spiaggia del Bacucco. Si va che è una meraviglia!
Po di Goro, Faro di Goro…
-Che si fa , costeggiamo o attraversiamo?-
-Uhm, sarebbe il caso di mantenere questa andatura e puntare il Lido delle Nazioni che sta in quella direzione oltre la linea dell’orizzonte-
-Un salto nel vuoto senza rete. E se a metà strada ci becca una mareggiata o restiamo senza vento?-
-Beh, nel primo caso ammainiamo giu tutto e teniamo le mani giunte. Nel secondo ci faremo due muscoli cosi a forza di pagaiate-
Il diavolo a volte non è cosi brutto come viene dipinto. Prima di perdere di vista il Faro di Goro gia le coste dell’altra sponda si profilano nitide e nel giro di un’oretta approdiamo nella baraonda di Lido delle Nazioni.
Giro di telefonate, doccetta, rifornimenti. Poi si viene al dunque: rimangono quattro giorni di tempo; io sarei dell’idea di proseguire a sud per tre giorni e riservare il quarto per tornare all’aeroporto- in autostop o in treno- a recuperare l’auto.
Walter invece è dell’avviso che si debba tornare in barca, guadagnando cosi una giornata di mare ed evitando tutta una serie di seccature. Devo convenire con lui che ormai la costa da qui al Gargano è un unico interminabile stabilimento balneare. Inoltre, se in questi grossi agglomerati urbani bisogna essere divorati in questo modo dalle zanzare, è veramente meglio tornare indietro!
Inseguiti da nugoli di insetti inferociti torniamo di corsa dalla passeggiatina serale roteando inutilmente le magliette sulla pelle, finchè, raggiunta la tenda e ammazzati i mostri che sono entrati ci stendiamo a soffrire in silenzio.
Questo conferma le mie teorie. Quando mi dicevano,
-Sul Delta del Po? Ha ha! Miliardi di zanzare vi mangeranno vivi!-
Niente di piu sbagliato. Le zanzare a miliardi le abbiamo trovate qui tra i cristiani. Del resto è logico: le femmine devono succhiare sangue per sviluppare le uova dalle quali nasceranno altre femmine con lo stesso problema e cosi via. Dove possono risolverlo al meglio e quindi riprodursi a dismisure se non in prossimità di paesi e campeggi ?
 
La partenza del giorno dopo è un po malinconica. Rifare un percorso gia battuto ti toglie la grinta. Manca il gusto dell’imprevisto e della scoperta.
 Rotta a nord. Prima di Volano viriamo a est e attraversiamo il golfo tra plastiche, legnami e immondizie di ogni genere. Il vento aumenta di intensità. Vento contro. Dopo una lunga serie di bordi per doppiare il faro di Goro, ci lanciamo in un’unica bolinata fin quasi a Barricata.
Cavalca e cavalca, a Scano boa ci si presenta il problema di dover tirare altri bordi per doppiare la lunga lingua di sabbia che si protende verso il largo, vera testa di ponte del Po nella sua millenaria guerra con l’Adriatico.
-Ah no!- cartina alla mano
-Se ci infiliamo in quella laguna possiamo immetterci nel Po Grande attraverso questo canaletto qui, scendere con la corrente e tagliare via con vento buono prima dell’isola dei gabbiani-
- Ma ti fidi ancora di quella cartina? Chi ti dice che il canaletto non sia gia bello che insabbiato?-
-Me lo sento nell’urina. E poi la fortuna aiuta gli audaci-
-Ma quale audace, se hai paura di bagnarti il culetto per quattro bordi controvento!-
-Sei still du, che sei lì blu dal freddo come la notte! Se ti togli la dentiera e la metti in un bicchiere quella va avanti a sbattere da sola e non si ferma fino a domani!-
In realtà siamo entrambi congelati, tanto che appena messo piede a terra ci rotoliamo un bel po come trichechi nella sabbia calda.
Scano Boa. Il posto è famoso- ho trovato un articolo su una rivista-  per un embrione di villaggio che sta nascendo tra le canne e i cespugli. C’è anche un pontile. Sul pontile un ragazzo e la sua bella stanno armeggiando con un windsurf.
-Salve- mi presento- è vero che laggiù esiste un canale di collegamento con il Po?-
- Il canale c’è ma è basso e stretto. Quanto pescate?-
- Senza derive e timoni, venti centimetri-
-Beh, una volta ci sono passato anch’io con la tavola a vela ma… provate. Però dovete tenervi a sinistra di quella fila di paletti che porta fino all’imboccatura, altrimenti rimanete impigliati nelle alghe-
-Gazie. Ciao-
- Auguri-
Seguiamo i paletti e… strano, quello che da lontano sembrava un canneto di laguna non è altro che il canale in questione ai lati del quale in seguito all’afflusso di acqua dolce dal Po sono potute crescere due file di canne alte piu di tre metri che si richiudono sopra formando una specie di galleria, dove ci infiliamo con una certa apprensione.  Fendendo le canne con la penna della randa, unico triangolino di vela che riceve il vento teso che soffia di sopra, avanziamo lentamente fra cascate di foglie secche bestioline e ragnetti. Il passaggio è veramente stretto e dobbiamo manovrare con le pagaie disincagliando ora uno scafo, ora l’altro.
Finalmente sbuchiamo nel Po. Di fronte, il faro di Punta Maistra circondato da cartelli, zona militare, proibito.
Scendiamo con la corrente. Un’altra capatina all’isola dei gabbiani e via in poppa su onde enormi. (esagerato)
Il sole sta calando e il vento anche. Peccato, potevamo tirare fino ad Albarella. Fa niente. Qualsiasi spiaggia va bene per noi. Piuttosto il problema sarà non farci rivoltare come una frittella dalle onde che frangono sulla riva. Adottiamo allora una sicura manovra da manuale: arrivati con perfetta scelta di tempo a superare i primi frangenti, ci buttiamo in acqua, giriamo il catamarano con le prue controvento e cosi aggrappati come ancore galleggianti lo aiutiamo a superare i successivi finchè il tutto piano piano viene spinto a riva.
Ci troviamo su uno dei tanti affioramenti di sabbia, primo avamposto di quella che un giorno sarà terraferma. Giretto esplorativo. In lontananza una figura vestita di nero sta trafficando con dei tronchi.
-Forse abita in quella casa laggiù oltre la laguna- dice Walter
- Allora le impronte di piedi numero 50 che abbiamo visto presso quelle vecchie reti saranno le sue-
Cala la notte.
Notte agitata. Il continuo fragore delle onde che rompono sulla spiaggia risuonano amplificate nel buio.
Sembrano cannonate.
 
Alle prime luci dell’alba Walter è il primo a rotolare fuori dalla tenda e la sorpresa tocca a lui: una fila di orme numero 50 avanza fino alla nostra barca, una chiazza di sabbia umida e le stesse orme che tornano indietro…
Eccolo laggiù l’abominevole! Ritto in piedi su una duna, avvolto nel suo gabbano nero, lo Yeti delle sabbie guarda e aspetta.
Bene. Se sei venuto fin qui a pisciare per delimitare un territorio come i cani, sappi che in questa terra di nessuno non ci sono diritti. E calate le braghe cancello le sue puzze con i miei odori.
Lo Yeti guarda, immobile. Poi di scatto si gira e scompare dietro una duna.
Forse gli ho dichiarato guerra. Andrà a prendere l’arpione?
Comunque sia non abbiamo tempo di giocare e caricata la roba ripartiamo col vento in poppa.
In un’oretta siamo in vista di Albarella. Una fermata è d’obbligo. Arraffate due bici andiamo dapprima a fare qualche spesuccia, poi colazione al bar e quindi una gitarella per l’sola sul mio percorso della volta precedente. Al ritorno stanchi e accaldati ci concediamo un po di relax nel fresco della piscina, quindi,
-Grazie Albarella, addio. Anzi arrivederci- non si sa mai nella vita.
Vento in poppa e sole a picco.
Dopo mezzogiorno prima della foce dell’Adige atterriamo nel posto dei “mangimi” della volta precedente e cediamo a un’altra abbuffata.
-Ho visto che avete mangiato di gusto- dice l’oste portando via i piatti. Non gli abbiamo lasciato neanche le lische!
Sole a picco e vento in poppa.
Foce dell’Adige. Foce del Brenta. Porto di Chioggia
-Ehi, una palla!- Un pallone da calcio sconsolatamente orfano galleggia sulle onde.
-Tiriamolo su che lo porto alla Katia-
Porto di Malamocco. Lido di Venezia. Si chiude un’altra giornata. Andiamo a pernottare in fondo alla spiaggia a ridosso dei muraglioni.
 
Sabato. Siamo arrivati un po in anticipo sui tempi previsti, e adesso ?
Andiamo a visitare la Laguna. Un’ultima nuotatina, issate le vele salutiamo il mare e risaliamo il canale di San Nicolò. Costeggiando la Giudecca, puntiamo direttamente lo strano isolotto di Sant’Angelo della polvere, sperduto e dimenticato nella foschia, sede, tra le altre vicissitudini degli ultimi 2000 anni, di un deposito di esplosivi che deflagarono facendo tremare anche Venezia. (cerca nel web). Ormai abbandonato , diroccato e invaso dalla vegetazione.
Per il pomeriggio mi spunta la brillante idea di passare davanti a piazza San Marco transitando nell’omonimo canale. A vela!
Ma evidentemente abbiamo sbagliato secolo. Nell’acqua continuamente sconvolta dall’incessante passaggio di navi e imbarcazioni a motore di ogni tipo, cerchiamo ansiosamente che ogni tanto una raffica infilandosi tra una casa e l’altra arrivi a gonfiarci le vele per poter avanzare sia pure di bolina! Ogni tanto in effetti arriva ma cessa poi di colpo piantandoci in mezzo al canale mentre tutto intorno piroscafi e motoscafi ci stanno piombando addosso!
Tuuuuh! Tuuuuh!!
 Pagaiando freneticamente schiviamo ora questo ora quello, guadagniamo una riva, prendiamo al volo un altro colpo di vento e ci buttiamo a tutta velocità verso la riva opposta, con cento occhi sulle imbarcazioni che tirano dritto e neanche ci vedono!
Sembriamo le vittime di un videogame in un gioco mortale.
 
“Il canale di San Marco a vela controvento in un pomeriggio di un sabato di luglio”
 
Suona bene come epitaffio.
Eppure, quando l’onda di un acquabus che viene a sfiorarci salta a bordo e ci porta via un salvagente e il pallone, non vogliamo cedere a tanta sfida e girata la barca in poppa partiamo all’inseguimento perdendo così un bel po di acqua faticosamente guadagnata. Che uomini!
Sant’Elena. Ancora un bordo e finalmente il nostro calvario ha termine.

Con vento buono costeggiamo le briccole alla larga dal traffico, aggiriamo Murano, ci immettiamo nel canale che porta all’aeroporto e andiamo a smontare Hoeanà su una sfigatissima spiaggetta ingombra di cocci, vetri, detriti e fango.



venerdì 24 settembre 2021

RIECCOLO

 

-Cu cu…-

-Arieccolo! Dov’eri finito? E’ un po’ che non scrivi piu niente-

-Si, mi sono ridato alla montagna. Giorni feriali e fine settimana. Scarpinate e ferrate nella zona del Trentino Alto Adige e in giro per le Dolomiti dal Piz Boè alle tre Cime di Lavaredo. E un bel giro in moto attraverso tre Passi fino a San Vito di Cadore per salire al rifugio San marco e portarmi a vedere il giorno seguente la Torre dei Sabbioni, un terzo grado facile, ma non ho trovato un cane che venisse in cordata con me. Amen.

Comunque, senza dilungarmi oltre, tutto questo è visibile su facebook al nickname “claudio ondesuonde -

-Bon, appunto le onde ma…e la barca?-

-A parte il fatto che la barca l’ho venduta nel 2018, (ora mi è rimasta una canoa, una bici, una moto, una moglie, tutto in vendita) in luglio mi sono goduto un bel periodo tra le1200 isole della Dalmazia su Ginevra, la barca di Giancarlo. Doveva essere un trasferimento veloce da Monfalcone a Preveza in Grecia, invece a causa del Covid e blocco di voli aerei è diventata una crociera soft, dove si è dovuto addirittura rallentare l’andatura per venire incontro alle date degli amigos che si avvicendavano nelle varie tappe.

Un periodo di bel tempo, mentre il nord Italia era battuto da piogge continue. Beh, anche noi ci siamo beccati una sventolata di Bora nel golfo del Quarnaro e ancora il giorno successivo in rotta verso Lussino dove si è stracciato un fiocco, ma per il resto della crociera si può dire che siamo andati sempre in discesa fino a Dubrovnik da dove sono poi rientrato in Italia in traghetto.

Una relazione del viaggio l’ha stesa Gianca. Forse me la passa e la copio qui. Intanto riporto un fatto che mi pare notevole, a livello di fenomeno paranormale.

Ginevra è la nuova barca di Gianca, di cui ho gia scritto in un post precedente, in sostituzione di Stay whit us, un Sun Odissey 40 venduto a un tale di Chioggia.

Orbene, navigando tra le isole mi era capitato di dire- chissà se la vecchia barca bazzica in Croazia pure lei-

-No, al massimo navigheranno in alto Adriatico-

Entriamo nella baietta di Okuklje a nord dell’isola di Mljet nel profondo sud della Dalmazia, andiamo in banchina di poppa di fianco a un monoscafo dove tutti si protendono preoccupati e pronti con i parabordi, ed è proprio lei!

Stay whit us, che nel frattempo ha cambiato nome e si chiama IRIDE. Casualità? Correlazioni quantistiche? Gemellaggi astrali? Incomprensibili magie!