Fuori, infuria in tutto il mondo il coronavirus.
Miliardi di persone relegate
in casa nel tentativo di estinguere questa pseudo forma di vita che si replica
solo parassitando il sistema di replicazione di una cellula vivente degli
umani.
Che fare nel frattempo?
Tra le altre cose, carcerati
come siamo e senza la sicurezza di ritornare alla vita, possiamo scrivere
intanto le nostre memorie. Come Silvio Pellico.
Vorrei qui proporre una delle
mie esperienze di trent’anni fa (1990) quando il mondo era diverso da ora e vissute con occhi di bambino.
AROUND THE WORLD
Paolo del piano di sopra
scende e mi vede di partenza a cavallo della moto, uno zaino e una borsa legati
dietro.
–
Anche quest'anno
ti farai qualche centinaio di chilometri -
–
Ah sì, qualche centinaio.
Poi ti racconto -
Moglie e figli in auto e io
dietro in moto verso Molina di Fiemme, in vacanza.
Ma gia il giorno seguente
scendo a Trento da Carlo, mio fratello.
Prendiamo il treno e in 13 ore
siamo a Francoforte. Poi in metrò all'aeroporto. Il mega aeroporto di
Francoforte. Una città di terminals, negozi, freeshops, scale mobili e nastri
trasportatori, gente di tutte le razze (etnie per i puristi). Un formicaio!
Giriamo con la cartina.
L'aereo parte alle 14,30. Air
India. Aereo con le bugne sulla carlinga, forse di terza mano..
E'la prima volta che viaggio in aereo e
rimango fortemente impressionato dalla senzazione da astronauta che provo a
10000 m di altezza, al di sopra delle nuvole dove splende sempre il sole.
L'orizzonte leggermente curvo della Terra, la temperatura esterna di 50 gradi
sottozero e niente aria respirabile!
Sotto si distinguono bene
fiumi strade veicoli in movimento. In fondo 10 chilometri seppure in altezza ti
portino in un ambiente così ostile, misurati in orizzontale non sono un
granchè. Una tranquilla pedalata in bici.
Rimango incollato al
finestrino a rimirare i paesaggi sempre diversi che scorrono sotto come in un
film.
Dalla Germania popolosa ed
efficiente, paesini campi boschetti campi paesini, ogni tanto un laghetto, si
passa di brutto alle pianure a sud della Polonia con quelle sue cave che
squarciano il territorio, estese coltivazioni che sembrano in stato di
abbandono, case e abitati disseminati qua e la prevalentemente lungo strade e
fiumi. Poi alcune alture dove risaltano bene vie sterrate che tagliano i
boschi.
Ancora pianure. Il Danubio.
Altre alture. Regioni sempre piu deserte.
Faccio fatica a distinguere i
piccoli abitati che denotino presenze umane.
Presso il Mar Caspio la
foschìa inghiotte tutto. Il Lago d'Aral invece si lascia vedere in tutti i suoi
contorni anche perchè il sole è al tramonto.
La Terra ruota verso est,
l'aereo vola verso est, in un attimo si fa buio.
Mi rilasso sulla poltroncina.
Le hostess indossano il “sari”
lasciando vedere la schiena nuda e il pancino grassottello. Veramente sono
tutte un po grassottelle, secondo i canoni di bellezza di un popolo di morti di
fame.
Siamo due pallidi fratelli
seduti tra una folla di barbuti personaggi col turbante, bambini che strillano,
malesi arabi indonesiani, razze mai viste ma proprio per questo in un'atmosfera
fortemente esotica che mi riempie di curiosità e interesse.
A cena ci arrivano pietanze
sconosciute, sapori forti e sconcertanti, salsine alle quali bisogna abituare
il palato un po alla volta ma tutto pian piano va giu, anzi diverse cose
risultano stimolanti e decisamente appetitose.
Volare con Air India è
un'avventura nell'avventura.
Dopo mezzanotte ora locale
atterriamo a Bombay.
Come scendiamo dall'aereo veniamo investiti da un caldo umido soffocante, carico di miasmi ignoti che arrivano a ondate. Attraversiamo un lungo cunicolo dalle spettrali luci verdi tra due ali di soldati in mimetica che imbracciano un fucile mitragliatore . In sala bagagli mentre aspettiamo che il nastro scorra, notiamo una polverosa catasta di valige, sacchi, zaini, addossata a una parete e alta fino al soffitto.
Proviamo a mettere il naso fuori dalla hall- aria condizionata- dell'aeroporto, e siamo subito attorniati da una miriade di poveri diavoli con proposte di hotel, taxi, moneychange, lustrascarpe e chissà cos'altro. Facciamo appena venti metri scavalcando corpi che dormono avvolti in quattro cenci, che rientriamo precipitosamente nel fresco della hall!
Proviamo a mettere il naso fuori dalla hall- aria condizionata- dell'aeroporto, e siamo subito attorniati da una miriade di poveri diavoli con proposte di hotel, taxi, moneychange, lustrascarpe e chissà cos'altro. Facciamo appena venti metri scavalcando corpi che dormono avvolti in quattro cenci, che rientriamo precipitosamente nel fresco della hall!
Aspetteremo così l'alba sulle
dure sedie della sala d'aspetto, lo zaino sulle ginocchia, la testa appoggiata
sopra e un giornale a schermo della luce.
All'alba ci infiliamo in uno
scassatissimo pulmino con uno sparuto gruppetto di europei altrettanto
sconcertati e ci rechiamo in centro.
Lungo la strada si allungano
interminabili file di baracche fra immondizie di ogni genere. Dappertutto a
quell'ora si vedono bambini accucciati tra i cespugli a culetto scoperto con un
barattolo o un secchiello di fianco. Qua e la stazionano le famose Vacche
Sacre, mucchietti di ossa perfettamente in sintonia con i loro vicini umani.
In città è tutto un suonare di
clacson di miriadi di improbabili automobili di un'altra epoca, pure queste
emananti l'aspetto da zombi dei loro conducenti.
Bombay è sempre stato un porto
commerciale, data la sua posizione sull'oceano indiano così di fronte a Africa
e Arabia. E deve aver conosciuto tempi piuttosto fortunati a giudicare da
alcuni palazzi e monumenti. Solo che al momento, viste le condizioni in cui
versano tali edifici, la curva del benessere della città dovrebbe toccare
un'indice tra i piu bassi. Perchè ?
Posso azzardare un'ipotesi
schematica:
Sovrapopolazione
Fuga dalle campagne
Declino di attività
commerciali precedenti (Compagnia delle Indie)
Scarse risorse interne
Scolarizzazione carente
Comunque Bombay è in continuo
divenire. A seconda della situazione mondiale potrà ancora succedere di tutto.
La gente in maggioranza si
arrabatta, cerca di sopravvivere in ogni maniera, è in continuo fermento. Dai
grandi negozi fino all'ultimo banco di ambulante è tutto un pulsare, una lotta
quotidiana tesa verso un destino migliore.
Lungo un marciapiede c'è una cassa in legno delle dimensioni di un metro cubo. Su un lato sono inchiodate alcune suole di scarpe in gomma. Da un'apertura spuntano due gambe nude. E' il calzolaio che dorme!
Piu avanti un'altra cassa con due ciotole di acqua sopra e di fianco il barbiere in piedi sta facendo la barba a un cliente con un vecchio rasoio.
Lungo un marciapiede c'è una cassa in legno delle dimensioni di un metro cubo. Su un lato sono inchiodate alcune suole di scarpe in gomma. Da un'apertura spuntano due gambe nude. E' il calzolaio che dorme!
Piu avanti un'altra cassa con due ciotole di acqua sopra e di fianco il barbiere in piedi sta facendo la barba a un cliente con un vecchio rasoio.
In fondo alla scala sociale,i
mendicanti.
Spuntano dappertutto. Se dai
qualche rupia a uno ti trovi subito attorniato da altri dieci. Allora acceleri
il passo, ti metti a correre e siccome tu hai mangiato e loro no, riesci a
distanziarli solo che piu avanti la scena si ripete.
Ad una bimba dell'età
apparente di tre anni abbiamo dato un panino , prosciutto e formaggio. E'
partita di corsa con una torma di altri bambini dietro. Si saranno mangiati
panino bimba e tutto!
Accovacciata sotto il portico di un antico monumento una ragazzina macilenta dagli occhi infossati vende alcune cartoline allineate sul pavimento. Gliene comperiamo tre e le diamo una banconota da 5 rupie(1 rupia 70 lire) che lei bacia e ribacia con gli occhi al cielo ringraziando chissà quale divinità del folto pantheon Indù.
Chiediamo informazioni a un giovane dalla grossa testa e due gambe cortissime che lo costringono a muoversi curvo, usando le braccia come uno scimpanzè. Come si raddrizza risulta alto come Carlo.
Un altro, con le gambe amputate all'altezza del bacino, usa le braccia per spingersi avanti appoggiato su una tavola con quattro ruote di monopattino.
Accovacciata sotto il portico di un antico monumento una ragazzina macilenta dagli occhi infossati vende alcune cartoline allineate sul pavimento. Gliene comperiamo tre e le diamo una banconota da 5 rupie(1 rupia 70 lire) che lei bacia e ribacia con gli occhi al cielo ringraziando chissà quale divinità del folto pantheon Indù.
Chiediamo informazioni a un giovane dalla grossa testa e due gambe cortissime che lo costringono a muoversi curvo, usando le braccia come uno scimpanzè. Come si raddrizza risulta alto come Carlo.
Un altro, con le gambe amputate all'altezza del bacino, usa le braccia per spingersi avanti appoggiato su una tavola con quattro ruote di monopattino.
Una povera diavola con un
neonato al seno- piccolissimo tutto grigio, vivo o morto?- ci si è appicicata
addosso e non ci lasciava piu finchè un suo concittadino uscendo dal suo
negozio non è venuto a cacciarla via in malo modo!
Succede questo infatti. Gli
indiani, diciamo benestanti o perlomeno quelli che hanno un po di salute e un
qualche lavoro, vedrebbero bene il fatto che venisse a finire questa piaga
dell'accattonaggio, anche a costo di un'ecatombe. La legge della giungla. Chi
non è in grado di sopravvivere è giusto che soccomba.
Non scuciono una mezza rupia
per i loro poveri manco se li ammazzi, nonostante che alcuni di loro vadano in
giro con collane e catene d'oro del peso di mezzo chilo!
Così i poveracci all'ultimo
stadio campano di turisti e opere assistenziali finchè una mattina non saranno
raccolti cadaveri, dai monatti di manzoniana memoria, da sotto un portico e
amen.
Il giorno dopo altro aereo.
Verso Madras.
Da quel po che riesco a
intravedere tra squarci di nuvole direi che l'India è una grande pianura di
polvere, sabbie e stoppie bruciate. Anche Madras sta in pianura, affacciata sul
mare sparpagliata in piccole casette a semicerchio attorno alla costa.
Sull'oceano, aguzzando bene lo
sguardo dei miei occhietti miopi, riesco a distinguere il bianco dei frangenti.
Poi le Andamane una collana di isolette dalle bianche spiagge.
Nuvole, nuvole e
improvvisamente una schiarita e un gruppo di grattacieli. Singapore!
Che contrasto Singapore!
Appena sbarcati chiediamo per un campeggio.
Si mettono a ridere. Chiediamo
bici a noleggio e ridono ancora piu forte.
Abbiamo capito. Ok, hotel. E
gia dall'aeroporto, efficientissimo l'ingranaggio entra in azione: telefonata
di prenotazione, taxi, boy dei bagagli.
Taxi di lusso. Sedili
orientabili, aria condizionata, autoradio. Ci torna in mente il taxi di due
giorni prima che ci riportava all'aeroporto di Bombay. Traballante, senza
vetri, i sedili sfondati, tutto ammaccato. L'autista ad ogni semaforo spegneva
il motore per risparmiare benzina.
La nostra stanza sta al
settantacinquesimo piano dell'Hotel Furama, un grattacielo che si perde lassù
in alto e di lassù il quartiere vecchio di Chinatown appare come in fondo ad un
pozzo le cui pareti sono costituite dai palazzi che le stanno attorno.
E pensare che a Singapore mi
aspettavo di vedere le giunche davanti ad una cittadina di casette basse, in
base ad una foto sul mio atlante delle elementari.
Invece ecco qua: metropoli
porto franco all'insegna del businnes.
Il paradiso dell'elettronica
applicata. Scale mobili in aria condizionata dappertutto, perfino sui ponti che
attraversano le strade.
E negozi, negozi,oro,
videocamere per quattro soldi, abbigliamento d'alto bordo, le migliori firme italiane. Cinesini con la calcolatrice
sempre in mano, forse nascono così. Pare che lavorino 24 ore su 24 ognuno nel
suo scintillante negozio colmo fino al soffitto di merci.
Mangiano svelti con i
bastoncini tra un cliente e l'altro da certi vassoietti preconfezionati che
basta solo passare in un fornetto a microonde.
Sono tutti tirati a malta fina,
perfettamente sbarbati, camiciole sempre fresche, cravattine. Noi in confronto
siamo dei buzzurri, dei barbari, con il nostro naso esagerato, i capelli in
disordine, barbuti e sudati.
Un europeo deve rendersi conto
che a un asiatico appare sempre in una luce piuttosto spiacevole. Hanno
un'altra sensibilità. Per esempio all'aeroporto non abbiamo visto le montagne
di wurstel e cotechini esposti a Francoforte. Sarebbe disdicevole, almeno qui a
Singapore. Sono riservati, non gridano, mai sguaiati.
Però quando addentano un cliente lo inchiodano
con mascelle da mastino! Difficile liberarsi. Ne sa qualcosa Carlo.
Inoltre, cosa strana, tra tante
sofisticherie sussurri e inchini, la vetrina di un farmacista esponeva in primo
piano plastici e gigantografie di formazioni emorroidali, prolassi dell'utero e
altre cose misteriose. Mah..
La vecchia Chinatown sopravvive
solo a livello antiquariato. Un solo grattacielo si ingoierebbe tutto il
quartiere gia al primo piano. Tuttavia è qui che ci si fa un'idea della
Singapore di pochi anni fa, tra bancarelle, odori di spezie, tempietti con
candeline e bastoncini profumati, pagode draghi e via enumerando.
Rimaniamo colpiti dal sistema
di ponteggi rizzati su alcune facciate da restaurare. Alla faccia
dell'antinfortunistica! Una griglia di canne di bambù legate una di seguito
all'altra su,su fino alle tegole. Niente tavole e passerelle. Si direbbe un
graticcio per rampicanti. Infatti quello che si arrampica è un operaio con un
secchio di colore in mano. Sale su una traversa orizzontale, aggancia il
secchio su quella superiore, sale , riaggancia e in cima si mette a cavalcioni,
con una mano si tiene con l'altra pittura!
Se cade e si rompe c'è un altro
miliardo di cinesi che aspettano un lavoro che non sia il contadino.
All'angolo dell'isolato su una
colonnina telefonica c'è scritto Free Loca lCalls. Capito? Nell'ambito della
città si telefona gratis. Tanto chi telefona lo fa per affari o turismo, la
stessa cosa, e tutto fa mucchio.
Due giorni di sosta e si
riparte. Sydney Australia.
Peccato che il volo si svolga
di notte. Riusciamo solo a gettare una breve occhiata all'alba su una immensa
distesa rossa. Poi nuvole foschia in quota e sotto, prima dell'atterraggio,
un'altra rapida veduta di colline, boschi, laghi e infine la costa.
A Sydney sostiamo solo il tempo
per aspettare il volo per Melbourne. E a Melbourne si scende solo per cambiare
aereo e destinazione: Hobart Tasmania.
Beh, ma che ci andiamo a fare a
Hobart sull'altro emisfero in luglio, in pieno inverno?
Andiamo a trovare Roger e
Peter, due amigos che ho conosciuto otto anni fa quando giravo con il camper
sull'isola di Krk in Jugoslavia.
Per otto anni li ho tenuti in
caldo a suon di cartoline e telefonate, perchè non si sa mai nella vita!
Così eccoci a Hobart. Fa un po
fresco, è sera, ma non piu di tanto. In fondo è come essere alla latitudine di
Roma, dall'altra parte dell'equatore.
Roger gentilmente viene a
prenderci all'aeroporto e poco dopo siamo a casa sua dove c'è anche Peter.
Grandi feste! Giro di bottiglie. Vocabolari italiano-inglese.
Fatto stà che pur volendo per
l'occasione far le ore piccole siamo talmente cotti dal viaggio che crolliamo
letteralmente sul letto che gli amigos ancora piu gentilmente ci mettono a
disposizione.
Ci svegliamo con il sole gia
alto sulla nostra...destra?!
Si. Perchè da qui rivolti verso l'equatore a
nord, il sole sorge a destra e tramonta a sinistra.
Usciamo nel giardino in maniche
di camicia. Temperatura direi primaverile. Attorno e nell'orto diverse piante
sono ancora vredi nonostante gli alberi spogli. Rimangono alcuni pomodorini “di
novembre” e qui sarebbe gennaio.
Siamo in collina circondati da
casette in legno -sistema anglosassone- che scendono fitte giu a contornare la
bellissima baia di Hobart.
Roger e Peter per i giorni in
cui resteremo loro ospiti ci hanno gia preparato un calendario fitto di
appuntamenti, escursioni e gite come meglio non avremmo potuto sperare dalla
migliore agenzia della città. Non solo, ma ci accompagnano pure in giro in auto
saltando giornate di lavoro e altri impegni. Troppo!
E così ci facciamo una solida
cultura di questa isola, estrema propaggine a sud dell’Australia dalla quale si
è staccata 10 milioni di anni fa secondo la teoria della Tettonica a Zolle.
Un’isola di eucalipti e di
marsupiali evolutisi in diversi rami collaterali rispetto ai loro cugini del
continente, o addirittura unici sopravissuti di specie altrove scomparse, come
il Diavolo e la Tigre di Tasmania, alcuni opossum, canguri delle rocce e via catalogando.
Prima della scoperta l’isola
era abitata da tempo immemorabile da alcune tribù di aborigeni. Poi la solita
storia: malattie, eccidi, deportazioni, fino al 1947 quando morì l’ultima
sopravissuta di nome Truganini, pare di tubercolosi.
La Tasmania è pressochè
disabitata e in gran parte adibita a parco naturale. Sulla costa occidentale e
per metà del territorio le perturbazioni dell’oceano indiano scaricano in continuazione tutta l’umidità
che qui si accumula contribuendo al perpetuarsi di larghe fasce di foresta
pluviale.
Siamo andati a vedere da vicino.
Una distesa di alberi, prevalentemente eucalipti a perdita d’occhio e nel folto
incredibili fusti di felci arboree da dove ti aspetteresti di veder sbucare un
brontosauro.
Impossibile uscire dai sentieri
per addentrarsi all’interno. La foresta che cresce e muore ricadendo su se
stessa fa sì che il terreno non abbia nessuna consistenza così da rischiare di
sprofondare di sotto quando meno te lo aspetti.
Stormi di pappagallini
svolazzano dappertutto. Corvi. Grosse oche che fanno croc-croc con una voce
tremenda. Canguri Wallobee che si stringono infreddoliti a gruppetti.
Il famoso Tasmanian Devil, cattivissimo, ti staccherebbe un piede con un morso e caccia degli urli da far accapponar la pelle. Eppure a vederlo sembra un cagnolino nero, neppure troppo veloce.
Il famoso Tasmanian Devil, cattivissimo, ti staccherebbe un piede con un morso e caccia degli urli da far accapponar la pelle. Eppure a vederlo sembra un cagnolino nero, neppure troppo veloce.
I genitori di Roger stanno in
campagna. Si sono disboscati un bell’appezzamento, costruito una casa in legno
e stanno organizzando una piantagione di meli.
Poco piu in là sulla collina
vive una certa signora Gianna di Trieste, moglie del direttore di un quotidiano
di Sydney per il quale lavora anche Roger.
E’ qui da 35 anni, dice che si trova bene, anzi
benissimo e non se ne andrà piu. Tuttavia ogni anno torna nella sua Trieste e
in quella occasione non manca di fare una capatina anche a Merano che considera
la cittadina piu bella del mondo. Guarda caso!
Un giorno andiamo a Port Artur,
un vecchio penitenziario e primo insediamento dell’isola.
Qui venne trasferito il famoso
capitano Blight, quello dell’ammutinamento del Bounty, a dirigere il carcere e
qui finì i suoi giorni.
Visitiamo celle, cameroni,
baracche che testimoniano della misera vita dei condannati e mi sembra strano
il modo in cui qui tengano ad un posto del genere, finche Roger mi spiega che
questo in fondo è l’inizio della loro Storia in questa terra, anche se risale
solo a 200 anni fa.
Un'altra volta invece saliamo
sul Mount Wellington che sovrasta la città dai suoi 1500 metri di altezza. Di
sera. C’è neve e qui l’inverno si fa veramente sentire. Safari fotografico a
caccia di opossum nelle piazzole di sosta. Uno si è rifugiato in un contenitore
dei rifiuti e soffia come un matto. Ha i piccoli.
Hobart vista da quassù così
illuminata e distesa attorno alla baia mi ricorda Napoli.
A proposito di opossum, da noi
nelle fiabe dei bambini si parla di leprotti e orsetti. Qui invece è tutto a
base di koala, cangurini, opossum e echidne.
Lungo le strade si vedono
spesso animali uccisi dalle auto in corsa. Gatti? Lepri? No. Opossum.
Un giorno incontriamo
un’echidna. Una specie di grosso riccio con aculei larghi un dito.
Ci attraversa la strada
trotterellando per i fatti suoi. Blocchiamo l’auto e la circondiamo per
scattarle alcune foto ricordo, ma lei indispettita da tanta sfacciataggine si dà
subito a scavarsi un tunnel e non c’è verso di rivoltarla tanto si aggrappa al
terreno e alle radici sottostanti!
-Ci perdoni Signora Echidna –
Ogni sera a casa di Roger
abbiamo visite, specialmente ragazze. Sembra un porto di mare. Secondo me si è
sparsa la voce e vengono a vedere quei due fenomeni di italiani piombati lì in
questa stagione. Così ogni volta si fa mezzanotte e oltre.
Il quinto giorno, come i pesci,
cominciamo a puzzare un pò. E’ora di alzare i tacchi, anche perché non siamo
nemmeno a metà strada e il viaggio è lungo.
Grandi feste di commiato,
scambio di indirizzi e si riattacca con gli aerei. Hobart, Melbourne, Sydney.
Da Sydney decolliamo martedì sera. Quando
atterriamo a Honolulu alle Hawaii è martedì mattina! Com’è questo fatto?
E’ che abbiamo passato la
famosa linea del cambiamento di data (come Phileas Fogg) riportata su tutti i
mappamondi, così invece dei cinque giorni previsti ce ne faremo sei.
Posso dire forte che le Hawaii
sono state la tappa che più mi ha rapito il cuore e la mente. Forse perchè ero
prevenuto contro questo arcipelago USA, immaginato tutto regolamenti e
consumismo.
Invece il contatto diretto con il clima, le
spiagge, gli scenari di una bellezza rara, le onde, il surf, le palme… Insomma,
inutile descrivere o cercare di immaginare, bisogna esserci stati!
D’accordo che Honolulu è una
selva di grattacieli tra una ragnatela di strade sopraelevate a sei corsie, ma
già sulle spiagge di fronte comincia l’incanto.
Incantati siamo rimasti anche
quando abbiamo noleggiato una macchina per girare l’isola di Oahu. Aria
condizionata, cambio automatico, servosterzo, computer velocità etc. Il tutto
per pochi dollari. Non è vero che gli USA sono cari. I prezzi dico. Anzi, oltre
alla benzina diverse cose costano meno che in Italia.
In auto abbiamo potuto visitare
l’isola in tutta la sua estensione. Un’isola molto verde in virtù delle
puntuali piogge quotidiane sulle alture -4000 m- dove si condensa
l’evaporazione dell’oceano circostante. Ciò favorisce oltre a una vegetazione
rigogliosa, ottimi raccolti di agroalimentari.
Oahu è un’isola di lusso. Campi
da golf, villette nel verde, piscine. Oahu trasuda dollari. Sulla costa di
nordest dove picchia la maggior parte delle perturbazioni e non è protetta da
scogliere le onde arrivano spettacolari e imponenti. Roba per surfisti duri.
Dopo Oahu, aereoplanino a elica
e andiamo a visitare Molokai, l’isola dei lebbrosi, la piu tranquilla delle
Hawaii.
Già il primo giorno facciamo
conoscenza con un hawaiano del posto cominciando con una piccola litigata. E’
andata cosi:
Fatta la spesa a Kaunakakai
capoluogo- 4 case e un negozio- andiamo a fare pic-nik sotto una palma di cocco
in riva alla laguna presso una casetta apparentemente disabitata.
Invece dopo un po esce un tipo
basso, tarchiato, capelli lisci a caschetto, pelle scura.
Comincia a girarci attorno
raccogliendo sull’erbetta rasata a prato inglese, foglie secche, carte e
stagnole di formaggini. Poi ci apostrofa
- Germany?-
-No non siamo germany- invasori
di territori altrui.
- Comunist?-
Non siamo nemmeno comunisti,
usufruitori sociali di proprietà private.
-Siamo italiani. Pensavamo che
non ci fosse nessuno e comunque non avremmo lasciato cartacce in giro-
- Don't make rubbish! - ripete l’hawaiano, poi attacca con
una lunga filippica dove infila dentro Gorbaciov, il Papa e chissà cos’altro.
Parla sempre lui. E’ un tipo
allegro. Si chiama Larry. Originario delle Aleutine. Vuol sapere del nostro
viaggio e infine ci offre il suo giardino per montare la tenda.
Senonchè abbiamo in programma
di camminare un paio di giorni lungo la costa dell’isola
-Thank you. Sarà per un’altra
volta-
Camminando così per Molokai
facciamo conoscenza con le noci di cocco. Quelle verdi e grosse sono ottime da
bere, altrettante borracce di bibita fresca. Basta solo praticare un foro
triangolare con la lama del coltello -non hanno ancora guscio- e infilare una
cannuccia. Tutte le altre, delle quali sono disseminate le spiagge, vanno
lavorate un po in modo da togliere il grosso involucro esterno, allargare
l’occhio del germoglio e infilare la cannuccia. Poi si rompe il guscio con un
sasso e si sgranocchia la polpa bianca. Tra una noce e l’altra alterniamo manghi
e papaie, tutti frutti a portata di mano.
Molokai è un’sola tranquilla, è
piccola e poco abitata. Questo dipende forse dal fatto che fino al secolo
scorso era adibita a lazzareto per i lebbrosi. Comunque sia è così ben
conservata che diventerà parco naturale.
Per la notte montiamo la tenda
fra le mangrovie di fronte a una spiaggetta che pullula di granchiolini tipici
dei tropici, quelli che corrono di traverso in punta di piedi e con gli occhi
fuori dalla testa.
Il giorno seguente incontriamo
Larry che ha bisogno di una mano. Poco dopo mi trovo alla guida della sua
scassatissima auto al rimorchio del suo traballante camioncino e Carlo seduto
sul cofano tra una e l’altra con le gambe puntate in avanti a fare da amortizzatore,
dato che mancano i freni.
Attraversiamo in questo modo il paese di
Kaunakakai e Larry grida a tutti che siamo i suoi cugini!
Tornati a Honolulu è doverosa
una visita al museo Bishop, massimo centro di cultura polinesiana dove possiamo
ammirare i famosi proa che si facevano 3000 miglia di oceano da un’isola
all’altra quando in Europa i nostri si limitavano a costeggiare e tiravano le
barche in secca per la notte.
Relax sulla Waikiki Beach, dove
oltre alla moda del surf infuria pure lo jogging. Vecchietti e ciccione, cuffia
stereo alle orecchie per non sentire la fatica, corrono allo spasimo al limite
dell’infarto.
Ecco, dalle Hawaii non si
avrebbe mai fretta di andarsene, per cui è con un certo sforzo che riprendiamo
a esibire biglietti e passaporti sulle piste di volo.
Los Angeles. La città degli
angeli che ci appare all’orizzonte immersa in una nuvola rosata, sembrerebbe
giustificare in pieno il suo nome, se non fosse che il rosa è il colore dello
smog!
Facciamo solo scalo e puntiamo
San Francisco. A San Francisco abbiamo parenti. O meglio, si tratta di parenti
della moglie di Carlo che, dopo essere venuti per tre volte a Trento in cerca
delle loro radici e invitato tutti ad andare a trovarli, si dovranno beccare
noi due che non centriamo per niente.
Comunque è gente che non si fa
problemi. Lui ingegnere elettronico, fabbrichetta di computer, due Jaguar, una
Jeep Cherokee, moglie-segretaria e una bimba di tre anni che gia fa pianoforte
e francese. Villa holliwoodiana con stanza degli ospiti tappezzata di foto di
R. Reagan con la loro bimba in braccio.
Anche qui riceviamo un nutrito
programma di gite, escursioni per la città, i dintorni e California in
generale.
Affittiamo un’altra incredibile
automobile americana e partiamo alla ventura.
San Francisco, la città piu
allegra di questo viaggio.
A parte i recchioni- omosex- c’è in giro una
certa aria di spensieratezza, forse dovuta al fatto di voler scongiurare la
solita sensazione di terremoto incombente che aleggia nell’inconscio di ognuno.
Oppure il fatto di vivere in queste casette variopinte in legno in stile Belle
Epoque disseminate attorno alla bella baia.
Non so. Strano, perché con la
nebbia che gravita quasi tutto l’anno sul Golden Gate all’imboccatura del porto
e il freddo che scende ogni sera portato da una corrente artica che costeggia
la California, ci sarebbe di che deprimersi il morale. Allegria di reazione?
In questa città abbiamo un
bell’esempio di società multirazziale abbastanza ben amalgamata, anche se la
maggioranza dei neri sta raccolta a Oakland, oltre la baia.
Inoltre qui c’è la piu grossa
comunità cinese, tra le città d’America e anche un‘abbozzo di Little Italy.
Il porto è il posto piu
caratteristico. Friggitorie di pesce, ambulanti, suonatori, virtuosi
dell’aquilone acrobatico e il megashopcenter Ghirardelli. Centro d’arte.
Al museo navale chi ti scopro?
La “Mermaid”. Una barca autocostruita di sei metri scarsi che nel 1965 in tre
mesi di vela attraversò il Pacifico partendo da Osaka in Giappone. Skipper
Keniki Horie. Per gli addetti un exploit di notevole portata. Esiste libro.
Kodoku.
Poco oltre il Golden Gate
visitiamo un parco di sequoie giganti. Settantacinque metri di rami che si
perdono lassù nel cielo.
Usciamo dalla città e puntiamo
le montagne di Yosemite attraversando una fascia desertica e rovente che corre
lungo la California, dal paesaggio tipicamente messicano.
Sulle montagne ho un momento di
depressione. Mi sembra di essere nelle nostre valli su strade che percorro
tutti i giorni per lavoro. Fortunatamente ogni tanto a fare la differenza
incontriamo piccoli abitati dall’aria molto far-west e finalmente Yosemite, il
santuario dei free-climber d’America.
Half Dome, Sentinel Rock, El
Capitan. Noi abbiamo le Dolomiti e il massiccio del Bianco ma bisogna dire che
questi megablocchi di granito hanno il loro fascino e non sfigurano affatto.
Naturalmente mi produco subito
in un numero di arrampicata libera su El Capitan e ci guadagno una bella
grattata al gomito che ho ancora come ricordo.
C’è un campeggio. Si dorme per
due dollari. Fra le tende è tutto un viavai di scoiattolini, razza
Cip&Ciop, piu invadenti che mai, tanto che in ogni piazzola c’è una cassa
in lamiera per tenere al sicuro i viveri.
Niente snack o ristoranti ma
una macchina che distribuisce per un dollaro scatolette calde di carne, fagioli
e altro. Roba da cow-boy.
Restando in tema, tra queste
montagne ci sono posti tipo saloon dove si fanno colazioni fantastiche. Per
sette dollari in due, ti arrivano dei vassoi con toast, sandwich, salsicciotti
arrostiti, tegamino con uova all’occhio, il tutto annaffiato con una caraffa di
caffè, modello Tex Willer, che una tipa continua a passare e riempire man mano
che bevi.
Ci riportiamo verso la costa
riattraversando la fascia di deserto. Aria condizionata al massimo. Colore
predominante, giallo.
Tocchiamo il mare a nord di Los
Angeles. Tocchiamo, è il termine esatto perché tentare di fare il bagnetto in
quest’acqua di dieci gradi potrebbe rivelarsi un suicidio senza apparenti
motivi. I surfisti -pochi- entrano con la muta e il cappuccio.
Invece si trovano a loro agio
le foche e i pellicani che si tuffano a capofitto per procurarsi il mangime.
Così è stato facile per l’amministrazione californiana dichiarare 100
chilometri di costa Parco Naturale.
A Monterey dormiamo in
macchina. La cittadina sarebbe interessante ma di sera pioviggina e fa freddo.
Telefoniamo in Italia da una colonnina sulla strada. America.
All’alba al posto del gallo,
sono le foche col loro “oink-oink” che ci svegliano. Se ne stanno tra le barche
del porto stravaccate su alcune piattaforme bisticciando per i posti.
Risalendo a nord scopriamo che
le spiagge piu belle sono in prossimità di san Francisco.
I parenti insistono per offrire
una cena, guarda caso, in un ristorante italiano dal nome “Palermo”. Proprietario calabrese e cameriere
toscano. Naturalmente Chianti. Ottima cena di commiato.
Il volo seguente ci scodella a
New York. Abbiamo solo una giornata di tempo e un autobus ci porta a Manhattan.
Come sbuchiamo nell’isola dal tunnel che le passa sotto la prima impressione è
di squallore: strade dissestate tra mura scrostate di vecchi grattacieli,
enormi paraventi che non lasciano vedere il sole. Nessuno in giro. Sembra di
essere in un film di fantascienza dopo l’olocausto nucleare.
Poi giri l’angolo e ti trovi a
fendere la folla nella Quinta Avenue, i negozi piu esagerati del mondo, grandi
firme italiane.
E le torri del World Trade
Center. Un ascensore ti spara in 58 secondi a 460 metri di altezza e di lassù
guardi quasi con compassione quel nano dell’Empire State Building o quella
figurina laggiù con una fiaccola sul braccio teso. Il ponte di Brooklyn si
allunga sull’acqua come un chewing-gum.
Tornati giu gironzoliamo tra
un’esagerazione e l’altra. C’è un cupolone di cristallo, gigantesca serra dove
crescono le palme con potenti riflettori sopra sempre accesi. I pavimenti in
marmo vogliono imitare quelli di San Pietro.
E fuori nella darsena cosa dondola?
Lo “Star and Stripes” il catamarano che ha vinto la Coppa America, esposto a
pavoneggiarsi in tutta la sua gloria.
Poi scendi certe scale che si
infilano sotto terra e ti ritrovi con le piastrelle che ti cadono in testa
dalle pareti, fioche lampadine da bunker, ogni tanto passa sferragliando un
metrò. Un drogato steso per terra con le convulsioni, forse sta stirando le
zampe, la gente va e viene, nessuno lo caga!
Fuori alcuni negretti si
contorcono in continuazione come robot ingoiatori di monetine. Due ragazze in
una Jaguar si abbandonano senza ritegno ad una quantità di piccanti
effusioni…Ma sono due ragazze o uno è un ragazzo? No sono due ragazzi e uno è
travestito da ragazza, oppure l’altro… mah, non ci capisco niente !
E via. New York-Londra.
Piccolo contratto tra Continental e Lufthansa
e tre ore dopo siamo a monaco di Baviera.
Alla stazione ci troviamo fra
una marea di profughi turchi polacchi e tedeschi dell’Est. Pure noi sembriamo
dei profughi con i nostri zaini, tenda e sacco a pelo in spalla, ed è stato qui
che Carlo si è beccato le cimici.
A Innsbruck dopo un piatto di
wurstel e crauti ci sentiamo decisamente a casa.
A mezzanotte siamo a Trento e
la moglie di Carlo si meraviglia di trovarci così abbronzati e in forma.
Il giorno dopo risalgo in moto
a Molina di Fiemme. Stanno tutti bene, i bimbi sono contenti di rivedermi e
anche dei regalini.
E tutto torna come prima, è
come se non fosse successo niente.
Dov’è che sono andato?
Ma c’è la noce di cocco, ecco
dove sono andato! Originale di Molokai, Hawaii!
Ce la sgranocchiamo in quattro
e quattr’otto, sicura e tangibile testimonianza che non ho sognato!
Quando entro dal cancello di
casa giu a Merano, a cavallo della moto, uno zaino e una borsa legati dietro,
Paolo del piano di sopra mi chiede:
-
Ciao da dove
vieni, dove sei stato? -
-
E’una storia
lunga. Te la scrivo su un quaderno -
5 commenti:
Per ora ti lascio che siete a Los Angeles, voglio centellinarlo come se fossi veramente in viaggio. Altri tempi, si viaggiava in modo diverso, e forse c'era anche meno diffidenza. Mi chiedo come sarà quando (non voglio dire "se"!) riprenderemo a viaggiare. Esistono i viaggi pre e post internet e, immagino, esisteranno quelli pre e post covid19...
Sempre e comunque buon vento!
Si
Accipicchiolindincibaccotuttodunsorsotiè !!
E quindi pure un giro del mondo contro mano con ala rigida ti sei sparato !!
Questa non la sapevo.
Fatico a collocarlo nel tempo, ma a giudicare dalle torri gemelle e qualche altro dettaglio direi qualche luna fa... ma tanto che importa ? Il tempo è circolare e quindi .... “circolare gente !”
Tanta roba, soprattutto di sti tempi che il viaggio più lungo che si può fare è uscire di casa per andare nell’orto, se hai la fortuna di averlo.
Ma tu pensa se non avessi mai messo quel maledetto annuncio su Bolina per l’Atlantico nè.... ??? Stanotte avrei dormito di sicuro di più!!
Felice di perdere il sonno per queste emozioni, felice di averti conosciuto ed aver incrociato le tue rotte, caro amico, guru, comandante, fomentatore di sogni,
Notte va
Inviato da iPhone
Caro Comandante, avevo letto i viaggi per mare ma questo mai! Complimenti per come vedi le cose e le scrivi.
Stefano
Ciao Claudio, sempre bellissimi i tuoi articoli !!
Massimo.
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